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Test rapido per la ricerca dello Streptococco Beta Emolitico Gruppo A su Tampone Faringeo

Il test per la ricerca dell’antigene dello Streptococco Beta Emolitico Gruppo A in tamponi faringei è un esame rapido di tipo immunologico. Questo test funge da coadiuvante nella diagnosi preventiva di infezioni da streptococco di gruppo A in pazienti che presentano sintomi sospetti. Lo streptococco di gruppo A è una delle principali cause di infezioni respiratorie come tonsilliti, faringiti e scarlattina. Una diagnosi precoce e la cura di faringiti causate dallo streptococco di gruppo A, permettono di ridurre la gravità dei sintomi, ma soprattutto ulteriori complicazioni come la febbre reumatica e la glomerulonefrite. I metodi tradizionali di identificazione (l’esame colturale) consistono nell’isolamento e nella successiva identificazione del microrganismo e richiedono 24-48 ore.

 

Dopo quanto tempo è possibile avere la risposta?

Questo test è in grado di fornire una risposta entro un’ora, permettendo ai medici di effettuare rapidamente la diagnosi e di somministrare i medicinali più adeguati. Qualsiasi risultato dubbio andrebbe valutato dal medico, di concerto con la sintomatologia clinica.

Si tratta di un test affidabile?

Questo test presenta una sensibilità pari al 97,6 % ed una specificità del 97,5 %, secondo gli studi condotti e che hanno messo a confronto l’efficacia del test rapido con quello colturale convenzionale. L’accuratezza del test dipende dalla qualità del campione.
Risultati erroneamente negativi possono essere legati ad un tampone non effettuato a dovere o ad una scarsa quantità di antigene raccolto (fase iniziale dell’infezione). Infezioni respiratorie, incluse le faringiti, potrebbero essere causate da streptococchi di altri sierogruppi per cui, un risultato negativo del test rapido non esclude infezioni causate da altri microrganismi patogeni.

Esame parassitologico delle feci: eseguilo presso i Nostri Centri

L’esame parassitologico delle feci è finalizzato alla diagnosi di infezioni intestinali (parassitosi) che si manifestano con diarrea, crampi, occlusione intestinale, dimagrimento e anemia. L’esame viene effettuato attraverso la ricerca nelle feci dei parassiti e delle loro uova: elminti (uova e/o larve), protozoi come Giardia intestinalis, coccidi (Cryptosporidium parvum, Isospora belli, Cyclospora cayetanensis).

L’esame si rivela utile, e spesso necessario, soprattutto per il viaggiatore internazionale di ritorno da zone a rischio (Paesi tropicali in via di sviluppo), ma è di fondamentale importanza anche per l’identificazione di alcuni parassiti “nostrani”, comunque ubiquitari.

È consigliabile eseguire l’esame su 3 campioni di feci, raccolte in 3 giorni diversi, nell’arco di 7-10 giorni. Questa procedura aumenta le possibilità di trovare eventuali parassiti, la cui emissione nelle feci non è costante.

È necessario che il paziente fornisca al laboratorio informazioni sulla sintomatologia, sulla provenienza, sui soggiorni all’estero e su eventuali infezioni pregresse.
Normalmente, i parassiti devono essere assenti. In ogni caso, è importante che i risultati delle analisi vengano valutati nell’insieme dal medico di fiducia, che conosce il quadro anamnestico del proprio paziente.

 
 

Esame parassitologico delle feci: eseguilo presso i Nostri Centri

L’esame parassitologico delle feci è finalizzato alla diagnosi di infezioni intestinali (parassitosi) che si manifestano con diarrea, crampi, occlusione intestinale, dimagrimento e anemia. L’esame viene effettuato attraverso la ricerca nelle feci dei parassiti e delle loro uova: elminti (uova e/o larve), protozoi come Giardia intestinalis, coccidi (Cryptosporidium parvum, Isospora belli, Cyclospora cayetanensis).

 

L’esame si rivela utile, e spesso necessario, soprattutto per il viaggiatore internazionale di ritorno da zone a rischio (Paesi tropicali in via di sviluppo), ma è di fondamentale importanza anche per l’identificazione di alcuni parassiti “nostrani”, comunque ubiquitari.

È consigliabile eseguire l’esame su 3 campioni di feci, raccolte in 3 giorni diversi, nell’arco di 7-10 giorni. Questa procedura aumenta le possibilità di trovare eventuali parassiti, la cui emissione nelle feci non è costante.

È necessario che il paziente fornisca al laboratorio informazioni sulla sintomatologia, sulla provenienza, sui soggiorni all’estero e su eventuali infezioni pregresse.
Normalmente, i parassiti devono essere assenti. In ogni caso, è importante che i risultati delle analisi vengano valutati nell’insieme dal medico di fiducia, che conosce il quadro anamnestico del proprio paziente.

 
 

Perché si ricorre all’analisi del sangue?

Perché si ricorre all’analisi del sangue?

Perché è l’esame più diffuso e più richiesto. Attraverso il sangue non solo si riescono a individuare le sostanze che circolano nel corpo, ma si capisce se un organo sta funzionando bene o se invece ha qualche difetto.

L’analisi del sangue è un esame veloce e indolore?

Sì. Il prelievo viene solitamente effettuato da una vena alla piega del gomito, sull’avambraccio o sul dorso della mano. La quantità di sangue estratto dipende dal numero di analisi che si devono eseguire, ma in ogni caso si tratta sempre di una quantità molto piccola; il prelievo di sangue viene eseguito in una sala prelievi, a stomaco vuoto, di preferenza alla mattina, per evitare che le sostanze contenute nel cibo ingerito alterino il normale equilibrio del sangue.

È importante precisare che, se si ottengono valori diversi da quelli considerati normali, non significa necessariamente che ci sia in atto una malattia; quindi, non ci si deve allarmare. La cosa più saggia da fare è quella di far valutare i risultati delle analisi dal proprio medico o da uno specialista.

Ci sono fattori che possono alterare i risultati?

Sì certamente. Tra questi ricordiamo, solo come esempio, l’attività fisica, l’assunzione di farmaci, l’ora della raccolta, la postura del paziente nel momento della raccolta, l’uso improprio del laccio emostatico.

Che cosa si intende con Risonanza Magnetica Nucleare (RMN)?

È una moderna tecnica diagnostica non invasiva usata per fornire immagini dettagliate del corpo umano. Utilizza campi magnetici e impulsi di radiofrequenza senza il rischio biologico dovuto alle radiazioni ionizzanti. Molte malattie e alterazioni degli organi interni possono essere visualizzate e, quindi, facilmente diagnosticate grazie alla RMN che rappresenta un prezioso ausilio nella diagnosi di malattie del sistema nervoso centrale, della colonna vertebrale e midollo, del sistema muscolo-scheletrico (articolazioni, osso, tessuti molli), degli organi addominali e dei vasi.

In Oncologia viene utilizzata nella precoce identificazione di molti tipi di tumori, per la stadiazione e la valutazione della risposta al trattamento di malattia.

L’evoluzione della TAC si chiama Cone Beam 3D, ed è disponibile da Ortokinesis

L’evoluzione della TAC si chiama Cone Beam 3D, una nuova apparecchiatura per ottenere una radiografia in 3d del cranio del paziente, ricostruito virtualmente da un computer che riproduce immagini di ottima qualità.

I campi di applicazione sono molteplici e nel caso specifico dell’odontoiatria anche i benefici sono tanti. La Cone Bean 3D emette infatti una quantità di radiazioni notevolmente inferiore rispetto alla normale TAC DENTALSCAN, fino a 30 volte in meno (come avvalorato da numerosi studi scientifici) e a differenza del classico esame in 2D permette di avere informazioni molto più approfondite sullo stato di salute dei tessuti duri del cavo orale.Ne consegue un’analisi più puntuale in minor tempo (l’esame dura al massimo 1 minuto), maggiore comodità per il soggetto che vi viene sottoposto, e una maggiore comunicazione con il paziente che attraverso i rendering in 3D riesce a comprendere chiaramente quale sia la sua situazione. 

Ernia del disco cos’è e come si cura con la fisioterapia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’ernia del disco  è una delle più frequenti cause del mal di schiena, può interessare una o una molteplicità di vertebre della colonna causando forti dolori e criticità nei movimenti e nella deambulazione. Fra le discopatie è sicuramente la più nota, non sempre, però riconosciuta come tale. È ricorrente la situazione di chi si porta avanti una nevralgia o una lombalgia per mesi senza andare a fondo sull’origine della problematica, ovvero senza sottoporsi a visita ortopedica o svolgere gli esami diagnostici previsti in queste circostanze: radiografie, risonanze magnetiche, TAC. 

L’ernia del disco è una patologia da usura o da sforzo che interessa sia uomini che donne in età giovanile o adulta, la fascia maggiormente interessata è quella compresa fra i 35 e i 55 anni. L’ernia del disco è dovuta ad una fuoriuscita del nucleo morbido di uno o più dischi intervertebrali, a causa di una compressione.

 

DOLORI MUSCOLARI = SVILUPPO MUSCOLARE. MITO O REALTÀ?

Ti sei sicuramente già chiesto se i dolori muscolari post attività fisica siano sintomo di sviluppo muscolare o se anche un allenamento non seguito dai dolori sia stato efficace.

 

I nostri esperti ci spiegano come nascono i dolori muscolari e se sono un presupposto imprescindibile per lo sviluppo muscolare.

 

IL MITO DELL’ACIDIFICAZIONE

Le ricerche più datate affermano che i dolori muscolari sono provocati dall’acido lattico, il sottoprodotto del metabolismo anaerobico. Pur essendo vero che una forte sollecitazione muscolare fa aumentare l’acido lattico, la causa dei dolori muscolari non è questa.

L’acido lattico tende, infatti, a scomparire dopo circa 20 minuti mentre i dolori muscolari sorgono 12-48 ore dopo l’attività fisica. Perciò, secondo i dati scientifici attuali, è improbabile che i dolori siano provocati dall’acidificazione dei muscoli.

Tuttavia troppo acido lattico impedisce il corretto funzionamento degli stessi perché l’abbassamento del pH inibisce gli enzimi responsabili della contrazione muscolare. Di conseguenza si ha una capacità di prestazione ridotta che si palesa nella debolezza muscolare.

Quel dolore al polso delle mamme? Si risolve con la fisioterapia

A pochi mesi dal parto spesso molte donne si trovano a soffrire di dolori al polso, in particolare nella zona vicino al pollice.
E’ una condizione molto fastidiosa e invalidante perché interferisce anche con le più semplici attività quotidiane come prendere in braccio il proprio bambino, sostenerlo durante il bagnetto, svitare bottiglie, lavorare al computer, ecc.
Si tratta della tenosinovite di De Quervain anche conosciuta come tendinite delle neomamme (ma anche delle ricamatrici, dei musicisti e degli operatori informatici).
Tendiniti neomame 2Nello specifico è l’infiammazione dei tendini dei muscoli abduttore lungo ed estensore breve del pollice.

CAUSE

Tra le cause più comuni troviamo l’uso eccessivo del polso, microtraumi ripetuti e lo squilibrio ormonale dovuto alla recente gravidanza e allattamento.
Detto questo basta pensare a quante mamme si trovano ogni giorno affaccendate nel fare tutto con una sola mano, mentre con l’altra tengono in braccio il loro bambino, per capire come mai questa categoria di donne è così colpita da tale problematica.
Tendiniti neomame 1Infatti anche l’atto stesso di sollevare il bimbo da sotto le ascelle con la mano aperta contribuisce a far infiammare i tendini del pollice.

 

SINTOMI

Tra i principali sintomi abbiamo dolore e gonfiore lungo il lato del polso verso il pollice. Ciò è particolarmente evidente quando si stringe il pugno o si afferra qualcosa, o quando si gira il polso.
Se trascurati i sintomi possono arrivare anche ad avambraccio e mano.
Chi è affetto da questa tendinite prova dolore se, stringendo il pugno con il pollice chiuso all’interno, flette il polso dal lato del mignolo.Tendiniti neomame 3

COSA FARE

Nella fase iniziale spesso viene consigliato il riposo funzionale e terapia con antinfiammatori, rimedi spesso non attuabili dalle neomamme perché i farmaci non sono compatibili con l’allattamento e il riposo non è compatibile con il prendersi cura del proprio bambino.

La fisioterapia rappresenta quindi un valido aiuto, attraverso esercizi di stretching e terapie come ultrasuoni, laser ecc., e semplici tecniche per adattare al meglio il movimento della mano e alleviarne il fastidio (ad esempio cambiando spesso le posizioni in cui si allatta o si tiene il bambino in braccio o aiutandosi con una pratica fascia porta-bebè.
Non bisogna aspettare quindi solo che “il bambino cresca e il dolore passi” come viene spesso suggerito da nonne e zie, in quanto è importante prevenire l’instaurarsi di infiammazioni più severe e liberarsi subito dal fastidio.

Feste di Natale e di Capodanno 10 regole per passarle al meglio

Poche e semplici raccomandazioni dell’Associazione mondiale per le malattie infettive e i disordini immunologici (Waidid) per godersi in totale serenità un momento atteso da grandi e piccini che però può nascondere insidie.

A raccomandare l’importanza di adottare alcuni precisi accorgimenti è l’Associazione mondiale per le malattie infettive e i disordini immunologici (Waidid), che ha stilato un decalogo per godere al meglio delle festività natalizie. Natale e Capodanno non solo magia ed incanto per bambini e adulti. Le feste più attese dell’anno, infatti, nascondono alcune insidie che rischiano di compromettere la salute di grandi e piccini. L’influenza, ma anche le infezioni alimentari raggiungono infatti il loro picco in questo periodo fatto di abbuffate, pasti a casa e fuori casa, freddo intenso e vita all’aria aperta. “Quello atteso - ha affermato la professoressa Susanna Esposito, presidente Waidid e ordinario di pediatria all’Università degli studi di Perugia - è un particolare momento dell’anno in cui, oltre a godere appieno della magia e della convivialità tipiche del periodo natalizio, è necessario prestare molta attenzione sia all’alimentazione sia alla possibilità di prevenire influenza o eventuali raffreddori. Occorre ribadire, proprio in vista del picco influenzale che ci attende nelle prossime settimane, che è opportuno rimanere a casa se malati, evitando spostamenti e viaggi così da contrastare il contagio, nonché ridurre il rischio di complicazioni e infezioni concomitanti (superinfezioni) da parte di altri batteri o virus. Gesti semplici come il lavarsi spesso le mani, in particolare dopo essersi soffiati il naso o aver tossito, rappresentano sicuramente l’intervento preventivo di prima scelta per il controllo della diffusione dell’influenza”.

 

Le dieci regole d’ore WAidid per contrastare l’influenza e limitare il rischio di infezioni alimentari:

1.Influenza, prevenirla meglio che curarla! Di regola il vaccino rappresenta l’unica potente arma a nostra disposizione per evitare di contrarre l’influenza. Per prevenirla, è opportuno comunque lavare regolarmente e frequentemente le mani con acqua e sapone; se si è fuori casa è possibile utilizzare soluzioni detergenti a base di alcol o salviettine disinfettanti. Se non è possibile farlo, evitare di portarle a contatto con occhi, naso e bocca. Dopo un bagno o una doccia caldi, inoltre, non stare a lungo con la testa bagnata perché si raffreddano le vie aeree superiori. Regolare, infine, la temperatura degli ambienti interni in modo che sia conforme agli standard consigliati per temperature invernali (generalmente intorno ai 18 ÷ 22°C).

2.Non contribuire all’epidemia influenzale: se si è malati, rimanere a casa ed evitare di intraprendere viaggi e di andare al lavoro o a scuola. È bene coprire la bocca e il naso con un fazzoletto di carta quando si tossisce o starnutisce; opportuno poi non riutilizzare il fazzoletto usato e gettarlo nell’immondizia. Fare aerare regolarmente le stanze, in particolare se ci sono persone malate.

3.Se influenzati, non assumere antibiotici senza indicazione del medico: l’uso degli antibiotici nei casi di infezioni virali è inutile e dannoso per la propria salute e per quella della comunità, contribuendo all’aumento del fenomeno dell’antibiotico-resistenza. Gli antibiotici vanno sempre prescritti dai medici dopo un’accurata visita.

4.Più strati per contrastare gli sbalzi di temperatura: non coprirsi troppo quando c’è freddo, ma neanche scoprirsi velocemente quando c’è il sole. Meglio vestirsi a strati.

5.Healthyfoodper il menù di Natale: evitare cibi troppo elaborati e limitare il consumo di salami e insaccati vari che, insieme alle conserve di frutta e verdura fatte in casa, possono essere all’origine di intossicazioni importanti come il botulismo. Le conserve preparate in casa, come la verdura sott’olio, sono uno dei prodotti in cui più facilmente si può rischiare la presenza della tossina botulinica.

6.In cucina occhio ad igiene di mani e utensili: curare particolarmente l’igiene delle mani per la manipolazione degli alimenti; evitare il contatto tra cibi crudi e cibi cotti; pulire accuratamente gli utensili e i contenitori in cui conservare gli alimenti.

7.Particolare cautela nella cottura e nella conservazione degli alimenti: cuocere bene i cibi in modo che tutte le parti raggiungano una temperatura di almeno 70°C; consumare gli alimenti immediatamente dopo la cottura; conservare in frigorifero gli alimenti cotti in casa, qualora non vengano consumati subito; se il cibo deve essere conservato per lungo tempo, è preferibile surgelarlo. Non consumare cibi avanzati (precedentemente riscaldati o raffreddati) se rimasti a temperatura ambiente per più di 2 ore, in caso di ambienti surriscaldati il tempo si riduce ad 1 ora; se invece si intende conservarli per i giorni successivi, è raccomandabile congelarli sempre entro 2 ore.

8.Attenzione alle uova crude e alle verdure non lavate: con questi alimenti uno dei rischi più frequenti è la salmonellosi, un’intossicazione caratterizzata da sintomi quali nausea, vomito e dolori addominali. I derivati di uova crude, poi, come gelati e dolci alla crema, oltre alla maionese e salse varie, sono alimenti responsabili delle intossicazioni da Staphylococcus aureus. In questi casi, il più delle volte, l’andamento è fortunatamente benigno, con sintomatologia tipica che inizia dopo una breve incubazione di qualche ora e risoluzione in 24-48 ore. La diarrea è il sintomo principale dell’infezione stafilococcica e quando è frequente ed abbondante può comportare una notevole perdita di liquidi ed elettroliti, che vanno adeguatamente reintegrati per evitare squilibri pericolosi, soprattutto nei bambini. Non è necessario arrestare farmacologicamente gli episodi dato che l’eliminazione di abbondanti liquidi costituisce, di fatto, una difesa dell’organismo, che tenta in questo modo di eliminare l’agente infettante.

9.Attenzione al pesce: pericolo allergie e manifestazioni gastrointestinali con pesce e molluschi crudi che possono essere portatori di un parassita, l’Anisakis, nocivo per l’essere umano. Prima di consumare pesce crudo, è opportuno assicurarsi che sia stato sottoposto al procedimento d’abbattimento, l’unico che garantisce l’eliminazione del pericoloso parassita.

10.Dolci sì, ma a piccole dosi: non esagerare con cioccolata e panettone, è importante scegliere prodotti di buona qualità e tenere presente che in alcuni soggetti, soprattutto se atopici, il cioccolato, consumato in quantità eccessive, può dare reazioni allergiche.

 

 

Ecografia o mammografia: cosa fare?

Il tumore al seno è la neoplasia più diffusa nel sesso femminile, e lo screening oncologico è utilissimo per identificare precocemente le formazioni maligne.

Particolare attenzione allo screening dovrebbe essere prestata da coloro che hanno familiarità per il cancro al seno. Le tecniche che vengono impiegate per la diagnostica precoce del cancro al seno sono la ben nota mammografiae l’ecografia mammaria.

Entrambe sono metodiche di screening molto efficaci e affidabili, ma talvolta ci si può chiederequale sia la migliore. Cerchiamo di capirlo insieme, considerando quali sono le differenze tra le due tecniche, i loro vantaggi e i loro limiti.

Mammografia: consente di identificare 9 tumori su 10

La mammografia non è altro che una radiografia alla mammella. Attraverso il suo impiego è possibile rilevare la presenza di micro-calcificazioni o noduli di piccole dimensioni sospetti o altri tipi di lesioni che fanno ipotizzare la presenza di un tumore. In Italia è considerata la tecnica di screening più efficace, come testimoniato dai dati a disposizione del ministero della salute: la mammografia consente di identificare circa 9 tumori su 10, prima ancora che questi risultino palpabili.

Oggi gli strumenti radiografici usano basse dosi di radiazioni, quindi sono ancora più sicuri dei precedenti, garantendo comunque un’ottima sensibilità diagnostica. La mammografia è molto utile soprattutto per le donne che hanno mammelle in involuzione.

Sottoporsi alla mammografia con cadenza biennale è consigliato tra i 50 e i 69 anni, fascia d’età per la quale lo screening mammograficoè gratuito in Italia. Tuttavia, anche dopo i 40 anni può essere utile effettuare l’esame, soprattutto se sono noti fattori di rischio o, ovviamente, noduli che devono essere monitorati. Per le donne con familiarità per il tumore della mammella invece, la raccomandazione è di sottoporsi all’esame già a partire dai 35 anni.

In molte regioni, lo screening per la diagnosi precoce del tumore al senoviene effettuato in una fascia di età più ampia compresa tra i 45 e i 75 anni (con una periodicità annuale dopo i 50 anni) e, inoltre, nella pratica clinica, alla mammografia bilaterale vengono associate la ecografia della mammella e la visita senologica.

In linea generale, è possibile affermare che la prevenzione del tumore al seno deve cominciare attorno ai 20 anni con autopalapazione eseguita a cadenza mensile e regolare. Risulta poi necessario eseguire controlli annuali dal senologo a cui affiancare, dai 50 anni in poi, la mammografia o, se necessita in donne giovani, l’ecografia mammaria

 

Ecografia mammaria: per le giovani donne

L’ecografia mammaria è un normale esame ecografico, cioè un esame eseguito attraverso l’impiego di una sonda che emette ultrasuoni consentendo di visualizzare la struttura mammaria.

Attraverso l’ecografia mammaria è possibile valutare la componente adiposa e la componente fibrosa del tessuto mammarioed è particolarmente utile per individuare i fibroadenomi o le cisti. Gli ultrasuoni, infatti, vengono riflessi in modo diverso in base alla composizione del tessuto. Essi, dunque, consentono di distinguere se un nodulo è solido o liquido e, in generale, permettono di identificare le caratteristiche di una lesione tissutale.

Per le sue caratteristiche tecniche, essa è maggiormente informativa se effettuata su donne giovani. L’ecografia mammaria, infatti è particolarmente affidabile nella rilevazione delle lesioni in mammelle dense, tipiche delle donne giovani, o con una componente ghiandolare molto sviluppata. In questi casi, infatti, la mammografia è meno affidabile, a causa di un limite tecnico dovuto proprio all’utilizzo delle radiazioni.

L’ecografia mammaria, inoltre, poiché non utilizza radiazioni, è l’esame consigliato per esaminare le mammelle durante la gravidanza(qualora fosse necessario).

Diversamente dalla mammografia, infine, l’ecografia mammaria può essere associata alla procedura di agoaspirazione, ovvero un prelievo su un nodulo sospetto attraverso un ago.

Dunque, che esame scegliere tra mammografia ed ecografia mammaria?

In conclusione, tra mammografia ed ecografia mammaria non esiste un esame migliore in assoluto, ma solo uno più adatto alla donna che deve sottoporvisi.

L’importante è che, dopo i 40 anni o tra i 50 e i 69 anni, ci si sottoponga ad uno screening oncologico con regolarità, a maggior ragione se sono noti fattori di rischio per il cancro della mammella.

Entrambe le procedure, infatti, consentono di diagnosticare precocemente il tumore al seno ed intervenire tempestivamente, evitando che questo progredisca.

Visita ginecologica: Quali esami effettuare?

Solitamente nel controllo annuale sono svolti i seguenti esami:

  • il PAP TEST che consiste nel prelievo della mucosa cervicale tramite un tampone (un lungo cotton-fioc) il quale verrà successivamente analizzata in laboratorio. Grazie a questo esame è possibile diagnosticare, in fase precoce, la presenza del Papilloma virus, la causa principale del CANCRO AL COLLO DELL'UTERO. Inoltre, è possibile individuare possibili infezioni e alterazione della mucosa vaginale;
  • un’ECOGRAFIA PELVICA, ovvero un’ispezione della cavità uterina tramite una sonda ecografica che consente di individuare la possibile formazione di cisti, fibromi o la sindrome dell’ovaio policistico (PCOS). L'esame dovrebbe risultare indolore, al più fastidioso;
  • la palpazione del seno, volta a individuare la possibile formazione di noduli e cisti. In caso la palpazione risulti sospetta, o per la presenza di un gran numero di noduli e cisti o per la presenza di noduli di grandi dimensioni, questa può essere accompagnata da un’ ECOGRAFIA AL SENO per escludere la presenza di NODULI TUMORALI e per verificare che da un anno all’altro non si modifichi il quadro senologico.

Se lo ritiene necessario, il medico può prescrivere ulteriori esami diagnostici volti ad approfondire delle criticità emerse in sede di visita specialistica. Gli esami più comunemente prescritti sono:

  • ESAMI DEL SANGUE CON DOSAGI ORMONALI;
  • ecografia transvaginale;
  • COLONSCOPIA (serve ad approfondire i risultati del PAP test in caso di sospette lesioni precancerose o cancerose);
  • ecografia con ecodoppler;
  • MAMMOGRAFIA

Quando fare una visita ginecologica?


La visita ginecologica dovrebbe essere un abitudine di tutte le donne, un check-up da farsi annualmente. È consigliabile iniziare dalla pubertà (inizio del periodo fertile della donna) o comunque dall’inizio dell’attività sessuale. Questo è particolarmente importante per poter diagnosticare in tempo malattie sessualmente trasmissibili che spesso sono di difficile individuazione in quanto asintomatiche nelle fasi iniziali.

 


 
Oltre alle periodiche visite, vi sono alcuni "campanelli d'allarme" che devono indurre la donna a prenotare immediatamente una visita presso il proprio ginecologo. Tra questi sono inclusi:

  • perdite di sangue fuori dal periodo mestruale;
  • dolore pelvico;
  • perdite di muco vaginale troppo abbondanti, di odore e colore diverso rispetto alla norma (maleodoranti e non bianche);
  • bruciore vaginale, dolore durante i rapporti sessuali (che viene indicato con il termine medico dispareunia);
  • addome insolitamente gonfio;
  • mestruazioni dolorose o eccessivamente abbondanti;
  • interruzione del ciclo mestruale per più di due mesi o mestruazioni ravvicinate (ogni 15 giorni);
  • seno che cambia forma o che presenta noduli palpabili o che inizia a secernere liquido dal capezzolo;
  • durante il periodo della gravidanza, perdita di sangue o contrazioni precoci.

La visita urologica e gli esami da fare

La visita urologica ha lo scopo di indagare eventuali disturbi e malattie a carico dell’apparato urinario di uomini e donne o degli organi riproduttivi maschili. Non comporta dolore, non è invasiva, ma può essere associata a ecografia del basso addome o – nelle donne – transvaginale, e per questa ragione può essere necessario presentarsi con la vescica piena. Inoltre lo specialista, al momento della prenotazione, può richiedere alcuni esami, in particolare test del sangue e delle urine, da presentare al momento della visita. Il primo passaggio, però, come sempre quando si parla di controlli specialistici, è l’anamnesi, che consiste in una chiacchierata tra medico e paziente. Attraverso questo colloquio l’urologo raccoglierà informazioni importanti sullo stato di salute generale e l’eventuale familiarità con alcuni tipi di malattie (es. tumori) a carico dell’apparato urinario, sull’assunzione (o meno) di farmaci, sullo stile di vita e sui sintomi avvertiti dal paziente. Dopo questa prima fase propedeutica, si passerà all’esame obiettivo, che per ovvie ragioni si differenzia a seconda del sesso del paziente.
 


Visita urologica maschile:
Prevede un esame del basso ventre e agli organi genitali, ed eventualmente un controllo della prostata attraverso una palpazione del canale rettale. Questo controllo permette di rilevare anomalie come ingrossamenti e tumefazioni sospette.

Visita urologica femminile:
Anche in questo caso alla palpazione del basso addome si associa un controllo ginecologico soprattutto in caso di prolasso vescicale o uterino, condizioni che sono all’origine di fenomeni di incontinenza.
A seconda del problema riscontrato lo specialista può richiedere ulteriori indagini diagnostiche tra cui:

  • Esami ematici (PSA per la diagnosi precoce del carcinoma prostatico e creatininemia per valutare la funzionalità renale)
  • Ecografia
  • TAC
  • Risonanza magnetica
  • ESAME DELLE URINE con eventuale urinocoltura in caso di IVU
  • ECOGRFIA PROSTATICA RETTALE
  • Ecografia transvaginale
  • CITOLOGIA URINARIA, utile in caso di sospette neoplasie alle vie urinarie
  • Citoscopia, ovvero l’ispezione di uretra e vescica con l’ausilio di una sottile sonda munita di microcamera in caso di sospetto tumore vescicale
  • SCINTIGRAFIA RENALE sequenziale e dinamica utile soprattutto per individuare anomalie alle alte vie urinarie (reni e ureteri)
  • UTINOFLUSSIMETRIA, esame semplice e non invasivo che si effettua in caso di riduzione nella minzione o difficoltà ad urinare (disuria)
  • Esame del liquido seminale in caso di infertilità maschile
  • Ecografia scrotale in caso di sospetto tumore ai testicoli

Urologia, la prevenzione inizia fin da giovani

Il sesso forte? Potrebbe esserlo di più: quando si tratta di salute e soprattutto di prevenzione infatti appare un po’ debole. Così come è ancora debole la cultura in tema di malattie al maschile e per questo occorre creare un nucleo di informazione e sensibilizzazione  nelle tre principali fasce d’età: adolescenza, età adulta ed età matura. A fare il punto un convegno a Roma intitolato “Prevenzione Alpha” che ha individuato fra gli uomini italiani oltre 10 milioni di casi di problemi urologici. Da qui ha mosso i primi passi la campagna informativa della Società Italiana di Urologia. «Quando si parla di salute sessuale, di visite urologiche, di disfunzioni, ha sottolineato Giuseppe Mele, presidente dell’Osservatorio Paidoss e della Società italiana medici pediatri - il  pensiero va subito alla terza età. Si pensa ai pensionati alle prese con problemi di prostata o con coliche renali. Nessuno, o forse pochissimi, riescono a capire che il cammino per la prevenzione inizia fin da giovani. Il  10% degli uomini fra i 40 e i 50 anni ha già una diagnosi di ipertrofia prostatica benigna (IPB), la prevalenza sfiora il 35% fra i 50-60enni». L’indagine, pubblicata dall’Archivio Italiano di Urologia e Andrologia, ha permesso di individuare i fattori di rischio associati allo sviluppo della malattia urologica negli uomini italiani: avere la pressione alta, per esempio, incrementa la probabilità di ipertrofia (Ipb) del 50%, il diabete la fa salire del 57%, mentre il colesterolo e i trigliceridi alti fino al 37%,di più rispetto agli over 50.

Principali patologie dell'apparato urinario

Cistiti, calcoli renali, prostatiti… sono diverse le affezioni che possono colpire il tratto urinario maschile e femminile, e gli organi riproduttivi nell’uomo. Vediamo quali sono le principali disfunzioni e patologie che devono essere indagate e curate da uno specialista in urologia.
Nell’uomo:

  • Tumori della vescica, del pene, del rene, dei testicoli, delle ghiandole surrenali e della prostata
  • Ingrossamento della prostata
  • Disfunzione erettile o difficoltà e/o dolore a raggiungere e mantenere un’erezione
  • Infertilità
  • Cistite interstiziale, un’infiammazione della vescica non riconducibile a infezione batterica o fungina
  • Disturbi renali
  • Calcoli renali
  • Prostatite, infiammazione della ghiandola prostatica
  • Infezioni urinarie (IVU), di cui la più comune è la cistite, in genere dovuta a contaminazione batterica
  • Varicocele, formazione di varici nello scroto

Nella donna:

  • Prolasso della vescica a causa di un cedimento del pavimento pelvico, una anomalia che può verificarsi nelle donne anziane, o comunque dopo la menopausa nella maggior parte dei casi
  • Cancro della vescica, del rene o delle ghiandole surrenali
  • Cistite interstiziale, molto più frequente nelle donne rispetto agli uomini
  • Calcoli renali
  • Vescica iperattiva, una disfunzione causata da uno spasmo continuo e involontario del muscolo che circonda la vescica (muscolo detrusore) e che induce uno stimolo continuo alla minzione
  • Infezioni urinarie (IVU), anche in questo caso molto più frequenti nella popolazione femminile per ragioni anatomiche
  • Incontinenza urinaria

Nei bambini:

  • Enuresi notturna (pipì a letto). Un problema da trattare quando si verifica in un’età in cui il bambino deve aver già acquisito il controllo della vescica
  • Problemi al tratto urinario, difficoltà nella minzione, blocco urinario
  • Infezioni urinarie (IVU)
  • Testicoli retrattili o ascendenti

Primo ciclo dopo la gravidanza: come fare

 

 
Primo ciclo dopo la gravidanza
 

Subito dopo aver partorito comincia il periodo delle cosiddette lochiazioni, una sorta di anticipo del vero e proprio ciclo, che arriverà terminato l’allattamento al seno. Le locazioni sono perdite piuttosto abbondanti che possono durare 10-15 giorni o più. Il periodo che va fino al 40° giorno dopo il parto è il puerperio. Ma quando torna il vero e proprio ciclo mestruale? Il primo ciclo mensile si chiama capoparto e può tornare in momenti diversi a seconda che la mamma allatti al seno o no. Se allatta, il ciclo tornerà un mese dopo la fine delle poppate. Se invece non allatta al seno, il ciclo tornerà dopo circa un paio di mesi dal parto, il tempo necessario perché l'utero torni alle sue dimensioni originali.  

Ciclo dopo gravidanza

 

Rapporti sessuali dopo il parto
Qualche consiglio su come comportarsi correttamente, o meglio qualche notizia in più che forse le neomamme spesso sottovalutano, per non andare incontro a disturbi o problemi. Iniziamo col dire che i rapporti sessuali dopo il parto andrebbero ripresi dopo il periodo del puerperio, quindi una quarantina di giorni. In ogni caso ricordate che se avete rapporti sessuali durante il periodo dell'allattamento al seno, durante il quale quindi non vi è il ciclo mestruale, fate comunque uso di un metodo contraccettivo, facendovi consigliare dal ginecologo che vi segue. Il fatto che manchi il ciclo per via dell'allattamento non deve essere considerata una garanzia per non rimanere incinta. Il rischio aumenta soprattutto quando le poppate diminuiscono: se la produzione di latte cala, verrà a diminuire anche la concentrazione dell'ormone della prolattina. 

Ciclo dopo gravidanza
 
Cosa fare quando torna il ciclo
Una cosa da sapere è che una volta che torna il ciclo, potrà non essere più come prima della gravidanza.  Il capoparto, può sicuramente essere più abbondante e può durare qualche giorno in più rispetto a prima. Una volta che l'utero è tornato alle sue dimensioni originarie e una volta esclusa la presenza di fibromi il ciclo può presentarsi più intenso. Al contrario può presentarsi più scarso e di un colore scuro. In ogni caso, non dimenticatevi di prenotare la visita post partum. E' molto importante effettuare questa visita e si può fare dopo il periodo di puerperio o comunque una volta arrivato il capoparto, è indispensabile non solo per vedere, tramite ecografia interna, se l'utero è tornato alle sue dimensioni, ma anche per controllare la presenza di eventuali fibromi piuttosto che polipi, magari già presenti durante la gravidanza che può alterarne il volume. La visita ginecologica è importante inoltre per effettuare il pap test, esame che dovrete effettuare annualmente per scongiurare qualsiasi infezione.

“La Salute e’ un diritto, non un bene”

#Tumoreallamammella
#Screening
#Ecografiamammaria

Il tumore più frequente in Italia è diventato quello della mammella: nel 2018 sono stimati 52.800 nuovi casi l

Al Nord si registrano i tassi migliori di sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi (Toscana 65%).
In coda invece il Sud, con Sicilia (60% donne), Sardegna (60%) e Campania (59%).

In Italia la prima causa di morte oncologica è costituita dal carcinoma del polmone (33.836 decessi nel 2015), seguito dal colon-retto (18.935) e dalla mammella (12.381).

Quindi il tumore alla mammella e’ il più frequente ma non il più letale: ciò implica che lo screening e le cure sono efficaci, se preso in tempo.

E’ noto che il cancro del seno, insieme a quello della cervice uterina e del tumore del colon-retto sono gli unici tre validati dall’Unione Europea. 


Fondamentale e’ sollecitare le persone ai programmi di screening.


Inoltre devono essere garantite la qualità delle apparecchiature e la perizia degli operatori.

“La Salute e’ un diritto, non un bene”

La dieta mediterranea protegge dal diabete

Una dieta a basso carico glicemico, come la dieta mediterranea, può ridurre l'incidenza di diabete di tipo 2. Lo dimostra uno studio del Dipartimento di Epidemiologia dell'Istituto Mario Negri di Milano diretto da Carlo La Vecchia. Gli autori della ricerca, pubblicata su Diabetologia, hanno analizzato i dati di 22.295 cittadini greci partecipanti allo studio "European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition", tuttora in corso. Fra queste persone, seguite per 11 anni, si sono verificati 2.330 casi di diabete tipo 2. Le informazioni sui loro consumi alimentari hanno permesso di definire per ogni soggetto un punteggio da 0 a 10 sull'aderenza alla dieta mediterranea (DM) e un altro per misurare i carboidrati disponibili nella dieta in termini di carico glicemico (GL).

 

 

I NUMERI - Incrociando i dati è emerso che coloro che hanno un indice DM sopra 6 hanno un rischio di diabete ridotto del 12% rispetto a chi ha meno di 4; chi è nel livello più alto di GL ha un rischio aumentato del 21% rispetto a chi è nel livello più basso. Ma una dieta che combina aderenza alla DM e carboidrati 'light' o a basso GL riduce il rischio di diabete del 20%. «Il ruolo della dieta mediterranea nel controllo del peso è controverso - dice Marta Rossi, primo autore del lavoro - e l'aderenza alla DM non è associata a variazione di peso. Ciò suggerisce che la protezione della dieta mediterranea contro il diabete non avviene tramite il controllo del peso, ma con altri fattori dietetici».

OLIO DI OLIVA - «Una peculiarità della dieta mediterranea - aggiunge Federica Turati del Mario Negri - e una possibile spiegazione del suo effetto protettivo è l'olio extravergine di oliva, ricco di grassi monoinsaturi e povero di grassi saturi». Quanto ai carboidrati, La Vecchia spiega che «una dieta con un alto carico glicemico porta rapidi aumenti di glucosio e conseguenti aumenti di insulina nel sangue. L'aumentata richiesta di insulina porta a lungo andare a un progressivo declino funzionale delle cellule beta del pancreas e di conseguenza a un'alterata tolleranza al glucosio e a una maggiore resistenza all'insulina, fattore predittivo del diabete».

CARBOIDRATI - Il minor rischio di diabete, quindi, si ha certamente seguendo la dieta mediterranea, ma utilizzando anche carboidrati a basso indice glicemico. Fra i carboidrati ad alto indice glicemico: glucosio, pane bianco, cereali, uva, riso. A moderato indice: pane integrale, pasta, arance, cereali integrali. A basso indice: fruttosio, yogurt, piselli, mele, fagioli, noci, riso parboiled.

Esami del sangue Una sintetica «biblioteca» dei principali valori che si possono trovare sul referto

Capire e interpretare gli esami di laboratorio è compito del medico. I valori dei test ematici, infatti, molto raramente dicono qualcosa di significativo se considerati singolarmente. Possono dare indicazioni attendibili solo se letti nel loro insieme e interpretati in base alle caratteristiche della persona per la quale sono stati richiesti dal medico.

Lo scopo delle informazioni che si possono trovare in questa pagina e in quelle correlate non è quindi di indurre a una lettura «fai da te» (inutile e persino potenzialmente pericolosa) dei parametri che si possono trovare sul referto del laboratorio e che, comunque, variano in relazione alla metodica di laboratorio usata, ma, piuttosto, di fornire una base culturale per capirsi meglio col medico, e prepararsi, eventualmente, a fargli le domande giuste.

 

 
 

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