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Fuoco di Sant’Antonio. Cosa Sappiamo?

Fuoco di Sant’Antonio

Per Fuoco di Sant’Antonio si intende una malattia infettiva scientificamente nota come Herpes Zoster. Il virus scatenante è lo stesso della varicella, il Virus varicella-Zoster (VZV). A differenza della varicella che colpisce prevalentemente i bambini, esso riguarda soprattutto gli adulti, in particolare gli anziani. Un legame tra le due malattie comunque c’è: chi non ha mai avuto la varicella non può avere il fuoco di Sant’Antonio.

Fuoco di Sant’Antonio: sintomi

Si manifesta attraverso sfoghi cutanei che inizialmente sono semplici macchie rosse e successivamente si trasformano in bolle e vescicole. Ma prima di questo, si avverte bruciore, formicolio e prurito in una zona ben precisa del corpo. Dopo qualche giorno, in quella stessa zona si sviluppano delle pustole, simili a quelle della varicella. Non è detto che i sintomi del fuoco di Sant’Antonio si manifestino sempre. Può capitare infatti che la malattia si sviluppi in modo lieve, senza lesioni; in questo caso si parla di Zoster sine herpete.
Altri sintomi comuni del fuoco di sant’Antonio sono: l’anoressia, i brividi, il dolore addominale, il dolore al collo, il dolore allo sterno, il dolore dorsale, il dolore facciale, la febbre, il mal di testa.

 


A seconda dell’intensità della malattia, il dolore provato può essere molto forte, quasi insopportabile, o molto lieve. Le zone più colpite sono i fianchi o comunque delle zone laterali del tronco, oppure un lato del viso. In realtà il fuoco di Sant’Antonio può colpire qualsiasi area del corpo, con un numero di lesioni variabile.
Dopo 7-10 giorni dalla loro comparsa, le vescicole si rompono trasformandosi in croste. Queste durano a loro volta altri 10 giorni.Dalla loro prima comparsa, quindi, le lesioni guariscono in circa 4 settimane e non rimangono delle cicatrici al termine. Nei casi più gravi tuttavia, il dolore con le pustole può durare anche alcuni mesi.

Fuoco di Sant’Antonio: contagio

Questa malattia, così come la varicella, è una malattia contagiosa. Il contagio può avvenire anche tra una persona affetta e un’altra che non ha mai avuto la varicella (e che non è stata vaccinata). In questo caso, la persona contagiata si ammalerà di varicella e non di fuoco di Sant’Antonio. Affinché il contagio si sviluppi, è necessario che la persona venga a contatto diretto con le lesioni dell’ammalato; al contrario, se il contatto non c’è e rimane semplicemente nello stesso ambiente dell’altro, la persona sana non può ammalarsi di varicella, perché durante l’infezione il virus non colpisce i polmoni e quindi se non c’è contatto non può trasmettersi solamente per via aerea.
Se chi è affetto da fuoco di sant’Antonio può contagiare un’altra persona che si ammala di varicella, non è vero il contrario. Chi è affetto da varicella quindi non può trasmettere il fuoco di sant’Antonio, ma solamente la varicella, e in questo caso anche solamente per via aerea.

Fuoco di Sant’Antonio: fattori di rischio e cura

Tra i fattori di rischio che possono sostenere il suo sviluppo, rientrano sicuramente il sesso, l’etnia e l’età. Vengono colpite soprattutto le donne e in generale le persone con età superiore ai 60 anni. I bianchi si ammalano molto più frequentemente degli afro-americani. Inoltre sono più a rischio le persone che hanno sofferto di varicella nel loro primo anno di vita e che soffrono di qualche problema legato al sistema immunitario.
Il fuoco di sant’Antonio viene trattato con farmaci analgesici e antinfiammatori. Se questi farmaci vengono somministrati in tempo, è possibile diminuire l’intensità dei sintomi. E’ possibile anche vaccinarsi per prevenire la comparsa del fuoco di Sant’Antonio.

Fuoco di Sant’Antonio. Cosa Sappiamo?

Fuoco di Sant’Antonio

Per Fuoco di Sant’Antonio si intende una malattia infettiva scientificamente nota come Herpes Zoster. Il virus scatenante è lo stesso della varicella, il Virus varicella-Zoster (VZV). A differenza della varicella che colpisce prevalentemente i bambini, esso riguarda soprattutto gli adulti, in particolare gli anziani. Un legame tra le due malattie comunque c’è: chi non ha mai avuto la varicella non può avere il fuoco di Sant’Antonio.

Fuoco di Sant’Antonio: sintomi

Si manifesta attraverso sfoghi cutanei che inizialmente sono semplici macchie rosse e successivamente si trasformano in bolle e vescicole. Ma prima di questo, si avverte bruciore, formicolio e prurito in una zona ben precisa del corpo. Dopo qualche giorno, in quella stessa zona si sviluppano delle pustole, simili a quelle della varicella. Non è detto che i sintomi del fuoco di Sant’Antonio si manifestino sempre. Può capitare infatti che la malattia si sviluppi in modo lieve, senza lesioni; in questo caso si parla di Zoster sine herpete.
Altri sintomi comuni del fuoco di sant’Antonio sono: l’anoressia, i brividi, il dolore addominale, il dolore al collo, il dolore allo sterno, il dolore dorsale, il dolore facciale, la febbre, il mal di testa.

 


A seconda dell’intensità della malattia, il dolore provato può essere molto forte, quasi insopportabile, o molto lieve. Le zone più colpite sono i fianchi o comunque delle zone laterali del tronco, oppure un lato del viso. In realtà il fuoco di Sant’Antonio può colpire qualsiasi area del corpo, con un numero di lesioni variabile.
Dopo 7-10 giorni dalla loro comparsa, le vescicole si rompono trasformandosi in croste. Queste durano a loro volta altri 10 giorni.Dalla loro prima comparsa, quindi, le lesioni guariscono in circa 4 settimane e non rimangono delle cicatrici al termine. Nei casi più gravi tuttavia, il dolore con le pustole può durare anche alcuni mesi.

Fuoco di Sant’Antonio: contagio

Questa malattia, così come la varicella, è una malattia contagiosa. Il contagio può avvenire anche tra una persona affetta e un’altra che non ha mai avuto la varicella (e che non è stata vaccinata). In questo caso, la persona contagiata si ammalerà di varicella e non di fuoco di Sant’Antonio. Affinché il contagio si sviluppi, è necessario che la persona venga a contatto diretto con le lesioni dell’ammalato; al contrario, se il contatto non c’è e rimane semplicemente nello stesso ambiente dell’altro, la persona sana non può ammalarsi di varicella, perché durante l’infezione il virus non colpisce i polmoni e quindi se non c’è contatto non può trasmettersi solamente per via aerea.
Se chi è affetto da fuoco di sant’Antonio può contagiare un’altra persona che si ammala di varicella, non è vero il contrario. Chi è affetto da varicella quindi non può trasmettere il fuoco di sant’Antonio, ma solamente la varicella, e in questo caso anche solamente per via aerea.

Fuoco di Sant’Antonio: fattori di rischio e cura

Tra i fattori di rischio che possono sostenere il suo sviluppo, rientrano sicuramente il sesso, l’etnia e l’età. Vengono colpite soprattutto le donne e in generale le persone con età superiore ai 60 anni. I bianchi si ammalano molto più frequentemente degli afro-americani. Inoltre sono più a rischio le persone che hanno sofferto di varicella nel loro primo anno di vita e che soffrono di qualche problema legato al sistema immunitario.
Il fuoco di sant’Antonio viene trattato con farmaci analgesici e antinfiammatori. Se questi farmaci vengono somministrati in tempo, è possibile diminuire l’intensità dei sintomi. E’ possibile anche vaccinarsi per prevenire la comparsa del fuoco di Sant’Antonio.

Fuoco di Sant’Antonio. Cosa Sappiamo?

Fuoco di Sant’Antonio

Per Fuoco di Sant’Antonio si intende una malattia infettiva scientificamente nota come Herpes Zoster. Il virus scatenante è lo stesso della varicella, il Virus varicella-Zoster (VZV). A differenza della varicella che colpisce prevalentemente i bambini, esso riguarda soprattutto gli adulti, in particolare gli anziani. Un legame tra le due malattie comunque c’è: chi non ha mai avuto la varicella non può avere il fuoco di Sant’Antonio.

Fuoco di Sant’Antonio: sintomi

Si manifesta attraverso sfoghi cutanei che inizialmente sono semplici macchie rosse e successivamente si trasformano in bolle e vescicole. Ma prima di questo, si avverte bruciore, formicolio e prurito in una zona ben precisa del corpo. Dopo qualche giorno, in quella stessa zona si sviluppano delle pustole, simili a quelle della varicella. Non è detto che i sintomi del fuoco di Sant’Antonio si manifestino sempre. Può capitare infatti che la malattia si sviluppi in modo lieve, senza lesioni; in questo caso si parla di Zoster sine herpete.
Altri sintomi comuni del fuoco di sant’Antonio sono: l’anoressia, i brividi, il dolore addominale, il dolore al collo, il dolore allo sterno, il dolore dorsale, il dolore facciale, la febbre, il mal di testa.

 


A seconda dell’intensità della malattia, il dolore provato può essere molto forte, quasi insopportabile, o molto lieve. Le zone più colpite sono i fianchi o comunque delle zone laterali del tronco, oppure un lato del viso. In realtà il fuoco di Sant’Antonio può colpire qualsiasi area del corpo, con un numero di lesioni variabile.
Dopo 7-10 giorni dalla loro comparsa, le vescicole si rompono trasformandosi in croste. Queste durano a loro volta altri 10 giorni.Dalla loro prima comparsa, quindi, le lesioni guariscono in circa 4 settimane e non rimangono delle cicatrici al termine. Nei casi più gravi tuttavia, il dolore con le pustole può durare anche alcuni mesi.

Fuoco di Sant’Antonio: contagio

Questa malattia, così come la varicella, è una malattia contagiosa. Il contagio può avvenire anche tra una persona affetta e un’altra che non ha mai avuto la varicella (e che non è stata vaccinata). In questo caso, la persona contagiata si ammalerà di varicella e non di fuoco di Sant’Antonio. Affinché il contagio si sviluppi, è necessario che la persona venga a contatto diretto con le lesioni dell’ammalato; al contrario, se il contatto non c’è e rimane semplicemente nello stesso ambiente dell’altro, la persona sana non può ammalarsi di varicella, perché durante l’infezione il virus non colpisce i polmoni e quindi se non c’è contatto non può trasmettersi solamente per via aerea.
Se chi è affetto da fuoco di sant’Antonio può contagiare un’altra persona che si ammala di varicella, non è vero il contrario. Chi è affetto da varicella quindi non può trasmettere il fuoco di sant’Antonio, ma solamente la varicella, e in questo caso anche solamente per via aerea.

Fuoco di Sant’Antonio: fattori di rischio e cura

Tra i fattori di rischio che possono sostenere il suo sviluppo, rientrano sicuramente il sesso, l’etnia e l’età. Vengono colpite soprattutto le donne e in generale le persone con età superiore ai 60 anni. I bianchi si ammalano molto più frequentemente degli afro-americani. Inoltre sono più a rischio le persone che hanno sofferto di varicella nel loro primo anno di vita e che soffrono di qualche problema legato al sistema immunitario.
Il fuoco di sant’Antonio viene trattato con farmaci analgesici e antinfiammatori. Se questi farmaci vengono somministrati in tempo, è possibile diminuire l’intensità dei sintomi. E’ possibile anche vaccinarsi per prevenire la comparsa del fuoco di Sant’Antonio.

In cosa consiste la radiografia? Prenotala subito 0832.606087

La radiografia è un test diagnostico utilizzato per esaminare la parte interna del corpo, soprattutto per individuare problemi a livello delle ossa, come le fratture. Spesso però possono anche rilevare problemi con i tessuti molli, come polmoniti o tumori al seno. I Raggi X comunemente chiamati RX, sono un tipo di radiazioni (cioè energia che viaggia attraverso lo spazio) che hanno una frequenza di luce molto alta. Grazie alla loro alta frequenza, le radiografie possono passare attraverso il corpo umano. La parte del corpo che deve essere analizzata viene messa a contatto con la macchina generatrice di radiazioni koreapills.com. Il fascio di raggi Xattraversa il corpo del paziente e va ad impressionare la pellicola radiografica, sulla quale si forma un’immagine che consente di distinguere le strutture ed i tessuti interessati: l’immagine si determina in base all’assorbimento in maniera diversa dei raggi X nei diversi tessuti del corpo. È possibile utilizzare anche mezzi di contrasto radio-trasparenti o radio-opachi che danno rilievo ai contorni dell’organo riservato. 

 

La radiografia viene effettuata principalmente per rilevare fratture, problemi ai dentiosteoporosi, osteomielite, scoliosi, tumori delle ossa. Non sono chiaramente distinguibili gli organi principali e i vasi sanguigni ma sono comunque visibili agli occhi di un medio specialista. Pertanto la radiografia del torace rappresenta un buon modo di cercare eventuali anomalie nel cuore, nei polmoni e nelle arterie principali.

Pap Test: quando iniziare a farlo? Prenotalo adesso! 0832.606087 o 0832 947686

Il Test di Papanicolau, o Pap Test, consiste in un test di screening che consente di rilevare precocemente il tumore al collo dell’utero o altre anomalie, non individuabili attraverso una normale visita ginecologica, che potrebbero diventarlo in futuro. Il Pap Test è quindi un esame di prevenzione, eseguito su donne sane.

L’esame è effettuato dal ginecologo, durante una normale visita di ginecologica, e consiste nel prelievo di una piccola porzione di muco dal collo dell’utero e dal canale cervicale, tramite una speciale spatola. Il muco viene poi esaminato in laboratorio attraverso metodi di colorazione appositi ed un esame computerizzato. Il Pap Test consente anche di esaminare l’equilibrio endocrino della donna e la presenza di infezioni batteriche, virali o miotiche.

 

Secondo il Piano Sanitario Nazionale, ogni donna tra i 25 e il 64 anni dovrebbe sottoporsi al test una volta ogni tre anni.
Il test è consigliato a tutte le donne sessualmente attive, poiché risulta il principale test di screening per individuare il virus dell’HPV, trasmesso attraverso rapporti sessuali.


Anche le donne in menopausa dovrebbero sottoporsi all’esame, almeno fino ai 65-70 anni, per ottenere informazioni sullo stato dell’endometrio uterino.
Il Pap Test può essere eseguito su donne vergini, senza provocare la rottura dell’imene (in tal caso però, il ginecologo deve essere informato per poter adottare misure più delicate) e su donne in gravidanza, senza provocare danni al feto.

Il Pap Test non può essere eseguito durante il flusso mestruale, ma almeno una settimana prima di quando si prevede il ciclo successivo o tre giorni dopo la fine dell’ultimo ciclo. Nei due giorni prima di effettuare il test è consigliabile evitare deodoranti intimi, prodotti spermicidi, lavande, creme e ovuli vaginali. Inoltre, sarebbe meglio astenersi da rapporti sessuali, poiché potrebbero alterare i risultati dell’esame.

 

La vitamina K perché è importante? Prenota la tua visita presso il nostro centro 0832.606087

La Vitamina K è considerata una delle vitamine più importanti che caratterizzano il nostro organismo.

Essa è liposolubile in quanto garantisce una perfetta funzionalità di alcune delle proteine che formano e mantengono forti le nostre  ossa ed inoltre svolge un ruolo fondamentale nel processo di coagulazione del sangue.

Essa è contenuta negli alimenti vegetali e animali e viene sintetizzata dalla flora batterica.

 

Come acquisire il giusto apporto?

La Vitamina K è contenuta in molti alimenti quindi attraverso un’accurata alimentazione si può ricoprire il fabbisogno necessario.

Gli alimenti che la contengono maggiormente sono gli ortaggi a foglia verde ma, la si può trovare anche nei cereali, nei latticini e nella carne.

 

Carenze ed eccessi

Solitamente la Vitamina K viene immagazzinata naturalmente dal nostro organismo e, vista la sua ampia diffusione, i casi di carenza sono limitati.

Eventuali carenze si manifestano con una prima fase di aumento del tempo di coagulazione con un susseguirsi di petecchie (piccole macchie cutanee determinate da emorragie circoscritte) e di grandi emorragie.

Inoltre, una sua scarsità non consente un sufficiente apporto di calcio nelle ossa e questo può causare l’osteoporosi.

 

Rimedi contro la sua carenza

Nei soggetti “sani” la sua carenza può essere colmata semplicemente attraverso una maggiore attenzione della propria alimentazione e quindi l’assunzione di determinati cibi mentre, per soggetti con specifici problemi di salute, questa mancanza o la sua assunzione in quantità eccessiva, viene colmata o attenuata attraverso l’assunzione di farmaci.

 

Cause

La carenza di Vitamina K deriva da:

  • alimentazione sbagliata
  • ridotta secrezione della bile
  • malattie epatiche
  • malattie intestinali
  • radiazione da raggi x
  • farmaci (anticoagulanti, fluidificanti del sangue..)
  • l’inquinamento

La produzione di carenza di Vitamina K non è una condizione che non si presenta con alta frequenza ma una corretta alimentazione può evitare di incorrere ad eventuali problemi e consentirà di migliorare la condizione delle vostre ossa e di inibire la calcificazione vascolare.

EMOCROMO Perchè è importante monitorare l’emocromo? Prenota adesso il tuo esame: 0832 760130

 

L’esame emocromocitometrico, meglio conosciuto con l’abbreviazione emocromo, è un analisi di laboratorio eseguito su sangue venoso utile per dare informazione, su colore e quantità della cellula del sangue. Sono necessari pochi millilitri di sangue per ottenere i risultati attendibili.

 

Dai valori dell’emocromo si determina il numero dei globuli rossi o eritrociti, globuli bianchi o leucociti, delle piastrine, dell’ematocrito ed altri valori. Il referto di laboratorio indica i valori del campione di sangue e l’intervallo di riferimento (normalizzato per sesso, età e strumento utilizzato).

Ferritina: scopriamo questa proteina cosi’ importante

La ferritina è una proteina abbondante nel nostro organismo: il suo ruolo è quello di fare da ‘deposito’ di ferro per le cellule. Questo elemento è fondamentale per molte delle azioni che compiamo quotidianamente e che ci permettono di sopravvivere, come la respirazione ed alcune reazioni metaboliche. Il ferro, infatti, è in grado di legarsi all’ossigeno (se sotto forma di ione ferroso) ossidandosi, ed è grazie a lui che quindi l’emoglobina può quindi trasportare l’ossigeno nei distretti del corpo che ne presentano un fabbisogno. Per questo motivo è molto importante che vengano mantenuti adeguati livelli di ferro (Fe) nel sangue, e che venga conservato per essere utilizzato in caso di necessità. Infatti, analizzando i livelli di ferritina di un individuo è possibile determinare la quantità di ferro che la persona ha a disposizione nel suo organismo. I valori di questa proteina divengono anomali solo in presenza di patologie o condizioni particolari come le anemie.
 
 

Cos’è la ferritina e a cosa serve?

Come già detto, la ferritina è un vero e proprio ‘magazzino’ per il ferro presente nell’organismo, e la sua struttura è divisa in sub-unità (tanti elementi uguali e più piccoli) che sono disposte a formare una sottospecie di guscio atto a contenere gli atomi di ferro sotto forma di ione ferrico. Questa proteina risiede prevalentemente nelle cellule e in minima parte nel sangue, ed ha il compito specifico di accogliere o rilasciare il ferro rispettivamente in caso di eccesso o carenza dell’elemento nell’organismo.
Esiste un equilibrio proporzionale tra la quantità di ferritina contenuta nei tessuti e quella presente nel sangue, per questo la concentrazione di questa proteina sotto forma plasmatica (in circolo) è un buon indicatore del ferro presente nell’organismo.
La ferritina è presente principalmente nel midollo osseo, nella milza, nei muscoli di tipo scheletrico e nel fegato. La sua concentrazione nel plasma è minuscola, ma può essere calcolata tramite un processo denominato ‘ferritinemia‘. Si tratta di un esame molto importante, vista l’importanza del ruolo ricoperto dal ferro nel nostro organismo ed il peso di eventuali carenze sulla vita quotidiana di una persona. Inoltre, il minerale contenuto nella ferritina è facilmente rimovibile, al contrario di quello legato all’emosiderina. Quindi, i valori di ferritina particolarmente bassi identificano con elevata sicurezza una carenza di minerale nell’organismo, e permettono di effettuare diagnosi più approfondite (come la separazione tra anemia sideropenica e altri tipi di anemie).

Cos’è l’ecocolordoppler e come funziona? Per Prenotare chiama subito 0832.606087

L’Ecocolordoppler o semplicemente detto doppler, è una delle tecniche diagnostiche più utilizzate in ambito angiologico. 

Consiste in un’ecografia che permette di visualizzare il flusso di sangue, all’interno dei vasi e degli organi interni, mediante una ricostruzione computerizzata.

L’esame è indolore e non invasivo dato che si svolge come una normale ecografia:

 Sull’area da esaminare viene posizionato del gel per evitare disturbi nella lettura
 Sul gel viene fatta scorrere una sonda
 L’immagine risultante viene visualizzata sul monitor del macchinario
 Il medico ecografista osservando il monitor elabora la diagnosi

 

Si possono esaminare:

 Tronchi sovraortici
 Flusso arterioso degli arti superiori e inferiori
 Flusso venoso degli arti inferiori
 Vasi addominali
 Area perineale

Per diagnosticare:

 Insufficienza venosa
 Aneurismi
 Stenosi arteriose
 Trombosi venose superficiali e profonde

Per la sola insufficienza venosa i sintomi che dovrebbero suggerire la necessità di fare un’ecocolordoppler sono:

 Caviglie gonfie
 Crampi ai polpacci
 Edema dell’arto coinvolto
 Flebite
 Formicolii alle gambe
 Iperpigmentazione della pelle
 Ispessimento della pelle
 Pesantezza alle gambe
 Prurito
 Ulcere cutanee
 Vene varicose

DOLORI BASSO VENTRE

Il dolore al basso ventre è un disturbo molto frequente che può localizzarsi al centro, sul fianco sinistro o sul fianco destroNella maggior parte dei casi è un sintomo legato ad un problema lieve e temporaneo ma non può essere sottovalutato perché potrebbe essere connesso ad una patologia importante. Solitamente le cause più frequenti sono connesse a 5 fattori: 

  • – può esserci un problema gastrointestinale;
  • – può dipendere dal ciclo mestruale;
  • – ci può essere un’infezione delle vie urinarie;
  • – potrebbe trattarsi di appendicite;
  • – potrebbe trattarsi di ernia inguinale

Il dolore può avere una durata variabile, può essere più o meno intenso, può manifestarsi per alcune ore o per settimane: tutto dipende dalla patologia che ha il paziente. A volte il dolore viene accompagnato da altri sintomi come: del bruciore quando si urina, del gonfiore addominale, febbre e mal di schiena.

Per guarire dai dolori al basso ventre è opportuno intervenire sulla condizione patologica che li scaturiscono e, nel caso in cui il medico identifica una patologia specifica, indicherà al paziente la cura da seguire.

 dolori basso ventre, come precedentemente anticipato, possono essere provocati da diversi fattori. Tra le cause più frequenti, abbiamo:

  • – Sindrome del colon irritabile;
  • – Morbo di Crohn: è una malattia infiammatoria cronica dell’intestino;
  • – Ciclo mestruale e Sindrome premestruale: spesso si manifestano dei crampi muscolari dolorosi;
  • – Infezione delle vie urinarie: tra le più frequenti c’è la Cistite;
  • – Ulcera;
  • – Appendicite;
  • – Stitichezza;
  • – Bruciore di stomaco e reflusso gastroesofageo;
  • – Ansia.

I fattori che riguardano più di frequente gli uomini, sono:

  • – Ernia inguinale: indica la fuoriuscita di viscere dalla cavità erniaria che si trova nella regione inguinale; la fuoriuscita può essere più o meno consistente e nei casi più gravi risulta visibile a livello dell’inguine sottoforma di una tumefazione. In alcuni casi la tumefazione può essere dolorosa, in altri no;
  • – Blocco intestinale;
  • – Presenza di calcoli renali nella vescica;
  • – Aneurisma addominale.

Sindrome del lunedì: cos'è e come prevenirla

Capita, a qualcuno più spesso, ad altri meno, ma capita: per tanti il lunedì è una tragedia. Ci si trascina verso l'ufficio con un misto tra rassegnazione, ansia e frustrazione: è la sindrome del lunedì e prevenirla si può. Ecco come.

INTOLLERANZE ALIMENTARI: QUANDO QUELLO CHE MANGIAMO CI FA MALE

Poco dopo il pranzo si avvertono crampi allo stomaco tanto da dover restare a casa per non essere colti di sorpresa quando siamo in giro? Potrebbe essere il caso di un’intolleranza alimentare. Scopri quali sono le più comuni e quali cibi evitare.

INTOLLERANZA O ALLERGIA

È bene non confondere le due cose: le allergie infatti sono reazioni di ipersensibilità, che significa che il corpo reagisce in modo anomalo a un determinato alimento, polline, erba o animale. Per difendersi da queste sostanze considerate dannose, il corpo produce anticorpi e si possono avere sintomi quali naso che cola, eruzioni cutanee e asma o qualcosa di più grave come uno shock anafilattico. Un’intolleranza invece si verifica quando il corpo non digerisce correttamente un determinato alimento. Non c’è alcuna risposta difensiva da parte del sistema immunitario e il sintomo più frequente è un malessere gastrointestinale. 

LE INTOLLERANZE PIÙ COMUNI

1. LATTOSIO

Quando il corpo non riesce a digerire il lattosio (lo zucchero del latte), si ha questo tipo di intolleranza. Il lattosio è un disaccaride composto da glucosio e galattosio. Di solito il lattosio viene scomposto in due zuccheri semplici grazie all’enzima lattasi così che è più facile da assorbire e digerire. Nel caso dell’intolleranza, questo enzima non esiste o non è prodotto in quantità sufficiente e viene ostacolata la totale digeribilità del lattosio. Come conseguenza si creano gas intestinali, crampi allo stomaco, nausea e diarrea.

L’HPV TEST permette di individuare la presenza di virus HPV. ai uno screening nel nostro Centro.

L'HPV TEST permette di individuare la presenza di virus HPV, prima che le cellule del collo dell'utero mostrino modificazioni visibili con il pap test. Le infezioni causate da questo virus possono essere responsabili del tumore del collo dell'utero. 
Fai uno screening nel nostro Centro.

ARRIVA L’ESTATE, ECCO I CONSIGLI PER PROTEGGERE LA NOSTRA PELLE

In estate numerose saranno le mete soleggiate che verranno raggiunte – dalle città, al mare, alla montagna – ma cosa si deve portare in borsa o in valigia per prevenire scottature sulla pelle? Come ci si deve comportare per prevenire il melanoma, il tumore della pelle più temuto?


Le regole da osservare sono: evitare le scottature soprattutto evitando di esporsi ai raggi ultravioletti tra le ore 11 e le ore 16; utilizzare i filtri solari ricordando che servono per evitare le scottature e non per prolungare l’esposizione al sole.
Una parte importante della strategia di prevenzione è l’uso dell’ombra per minimizzare gli U.V.: l’ombrellone lascia passare il 50% degli U.V. quindi è opportuno utilizzare le creme protettive anche sotto l’ombrellone. Inoltre è importante ricordarsi che con il vento, le nubi e nell’acqua è più facile scottarsi. Infine in montagna c’è una maggior concentrazione di U.V.: per ogni 300 metri di altitudine si ha un 4% in più di intensità.
«Il primo concetto è che un melanoma in fase avanzata ha una prognosi severissima e conduce a morte nel 50% dei casi. In secondo luogo seguire regole di prevenzione è assolutamente necessario».

Colpo di frusta: sintomi, cura, rimedi e riabilitazione corretta

Il colpo di frusta è una patologia dovuta in genere a un evento accidentale e improvviso che lesiona una o più componenti del collo come legamenti, vertebre, dischi intervertebral, nervi e muscoli.

Il tutto è dovuto, come durante un tamponamento in auto, a un violento spostamento del corpo in avanti con la testa che viene proiettata indietro per poi subire essa stessa un altro violento contraccolpo in avanti nella decellerazione.

Questa precisa sequenza di eventi che determina il colpo di frusta la possiamo riscontrare non solo negli incidenti automobilistici, ma anche in traumi come cadute, contrasti durante la partitella domenicale a calcetto o traumi che coinvolgo il cranio.

sintomi che si possono presentare subito dopo l’incidente, cioè nella fase acuta, dipendono da diversi fattori che ne caratterizzano la gravità:

  • Entità del trauma
  • Posizione assunta durante l’incidente (in macchina)
  • Età della persona
  • Condizione fisica generale
  • Traumi pregressi

Le sintomatologie più frequenti che si possono presentare subito dopo un incidente sono sicuramente:

  • Limitazioni del movimento nel tratto cervicale
  • Irradiazioni su braccia e mani
  • Nausea e vomito
  • Ronzi alle orecchie I sintomi più gravi sono quelli che riguardano le strutture vertebrali, intervertebrali e nervose, tra i quali i più frequenti sono:
  • Brachialgie 
  • Parestesie e formicolii a braccia e mani

Queste sintomatologie possono essere segno di problemi da indagare in ambito medico, con una radiografia e/o una risonanza magnetica, come ad esempio:

  • Fratture vertebrali
  • Lesioni legamentose
  • Lesioni muscolari

La maggior parte delle volte per fortuna queste lesioni gravi non avvengono, ma l’incidentato lamenta sintomatologie anche invalidanti che possono durare per periodi molto lunghi.

Anca a scatto: sintomi, cura, rimedi, fisioterapia ed esercizianca

L’anca a scatto è una problematica frequente che si caratterizza per i suoi sintomi particolari come rumori, cedimenti ed eventuale dolore al movimento.

Nel particolare possiamo dire che sia una lesione benigna presente in perentuale rilevante specialmente nelle giovani sportive anche di buon livello.

La sensazione principale che prova il paziente quando è affetto da questa condizione particolare è proprio quella di uno scatto, di uno scroscio dovuto nello specifico a un passaggio difficoltoso e problematico di un tendine vicino a una sporgenza ossea.

Il problema, che il paziente riporta essere al fianco, si presenta solo al movimento, ad esempio quando ci si alza dal letto o dalla sedia, arrivando in alcune persone a farsi sentire anche durante una semplice camminata.

In base ai casi ci possono essere anche altre sintomatologie oltre al classico rumore:

  • Scricchiolii più leggeri rispetto allo scatto durante l’arco di movimento dell’anca
  • Instabilità durante il carico
  • Dolore localizzato lateralmente o anteriormente
  • Altri dolori articolari
  • Borsite (trocanterica per la tipologia esterna, dell’ileopsoas per quella interna)
  • Le cause principali di questa problematica sono una instabilità dell’articolazione dell’ancae un disequilibrio muscolare o posturale.

    Questa patologia colpisce non a caso principalmente i giovani sportivi di sesso femminileper i seguenti semplici motivi:

    • Giovani significa avere legamenti, muscoli e articolazioni ancora in fase di crescita
    • Sportivi significa avere masse muscolari maggiori
    • Sesso femminile significa avere un conformazione del bacino più ampia

    La presenza di tutti e tre questi fattori aumenta la possibilità di avere conflitti di passaggio del tendine sull’osso.

  • Conflitto femoro-acetabolare

    Alcune particolari situazioni di anca a scatto possono non essere dovute a un problema miotendineo o di presenza di corpi esterni, bensì collegato alla presenza di un conflitto tra acetabolo e testa del femore.

    Parlando a livello clinico questa condizione può simulare un’anca a scatto con sintomi come dolore all’inguine (simil pubalgia) dopo sforzo fisico con riduzione dell’escursione di movimento in flessione e rotazione interna.

    La progressione in questo caso coinvolge anche la deambulazione arrivando a complicarsi con un quadro artrosico secondario o una lesione del labbro acetabolare, fattori di rischiio ad esempio per interventi di protesi anca.

    Fisioterapia ed esercizi

    Partiamo subito dicendo che l’anca a scatto può trovare rimedio da sola, senza interventi particolari.

    Nei casi in cui non dovesse migliorare o in tutti quei casi in cui risulti doloroso lo scatto è necessario un intervento fisioterapico mirato per evitare complicanze secondarie.

    Non dobbiamo infatti dimenticare che l’anca a scatto è una problematica di mal funzionamento dell’articolazione che come tale è un fattore di rischio per lo sviluppo negli anni di artrosi.

    La terapia migliore è cercare di lavorare in allungamento su quelle strutture coinvolte nel problema:

    • Il tensore della fascia lata per quanto riguarda l’anca a scatto esterna
    • L’ileopsoas quando siamo in presenza di quella interna extrarticolare

Quanto sappiamo sull’ANORESSIA?

L’anoressia è una malattia che, anche se colpisce principalmente le donne con un rapporto di 9 a 1 rispetto agli uomini, vede in aumento il numero di maschi colpiti soprattutto durante la fase adolescenziale o preadolescenziale . Dati più recenti suggeriscono che questo rapporto sia arrivato almeno a 4:1. Essa rappresenta la conseguenza dell’interazione di diversi fattori/condizioni: biologici, genetici, traumatici, socio-culturali, personali (come mancanza di autostima, perfezionismo, impotenza, sensazione di inutilità, percezione dell’ideale di magrezza etc.) o psichici (come ansia o depressione). La prevalenza media della malattia nelle donne tra i 12-22 anni, in Italia, si attesta intorno allo 0,9%.

 

L’anoressia è più di un semplice problema con il cibo: si tratta, infatti, di un rapporto patologico con il proprio corpo, la propria identità e la propria sessualità . Chi ne è affetto è ossessionato dall’idea di prendere peso e diventare grasso. Pertanto, oltre ad evitare cibi ingrassanti, ricorrerà ad un esercizio fisico esagerato, a purghe, diuretici, farmaci anoressizzanti e ad auto procurarsi il vomito.

A lungo termine, l’anoressia può portare ad alterazioni ormonali, problemi di fertilità, alterazioni cardiologiche, osteoporosi, anemia, squilibrio elettrolitico e depressione. Per evitare tali conseguenze occorre un intervento multidisciplinare integrato. L’assistenza deve mirare sia agli aspetti nutrizionali, ma anche a quelli psichiatrici, psicologici, fisici e socio-ambientali. Inoltre, gli interventi sanitari vanno attuati considerando l’età ed i bisogni individuali di chi ne è affetto .

Aiuto, ho un esaurimento nervoso! Tutti i falsi miti sulla salute mentale

Non esiste una malattia chiamata «esaurimento nervoso»: con questa espressione si caratterizzano tutta una serie di sintomi che sono riferibili ai disturbi dell’umore, come la depressione o la distimia, o ai disturbi d’ansia accomunati da uno stato di stanchezza e debolezza fisica e mentale. Tra i sintomi che possono verificarsi ci sono il senso eccessivo di fatica dopo uno sforzo mentale, le difficoltà di concentrazione, i dolori, la debolezza fisica, le difficoltà a rilassarsi, le vertigini, l’insonnia, le cefalee, l’umore irritabile. Si stima che, in Italia, l’11,2% della popolazione soffra di depressione (con una prevalenza maggiore nelle donne) . Qualsiasi sia la causa che abbia portato al cosiddetto «esaurimento nervoso» occorre affrontare il problema consultando il proprio medico che, dopo aver valutato l’insieme dei sintomi, predispone una corretta terapia sia da un punto di vista psicologico (psicoterapia) che farmacologico (somministrazione di ansiolitici e antidepressivi sotto stretto controllo medico).

 

 

Fiatone e fiato corto? Come riconoscere l’affanno sospetto

Nel gergo quotidiano si chiama “ fiatone”, nel linguaggio medico “ dispnea”, per tutti “affanno”:  qualsiasi termine vogliate utilizzare per chiamarlo,  è popolarissimo tra gli italiani che corrono dalla mattina alla sera fra lavoro, famiglia, impegni, sport  amici e …. avventure di ogni genere.

Quando ci manca il respiro o facciamo fatica a respirare, le cause possono essere molte e nella maggioranza dei casi del tutto trascurabili. Ma  in parecchi casi l’affanno  è  il campanello d’allarme di qualcosa di più serio che, se  affrontato per tempo, può evitarci guai maggiori ed a volte salvarci la vita.

Ma cos’è l’affanno
L’affanno è una mancanza d’aria all’apparato  respiratorio  che  provoca una difficoltà ad ossigenare l’organismo e rallenta  la nostra capacità di movimento.

Se l’affanno arriva dopo uno sforzo, per esempio dopo aver corso per non perdere un autobus che passa, o perché abbiamo fatto sport, o perchè abbiamo sollevato un peso considerevole, non c’è nulla di preoccupante;  è normale che ci manchi un po’ di fiato perchè lo abbiamo consumato nello sforzo appena fatto. Ma in pochi minuti avremo ristabilito la condizione di normalità.

Se invece l’affanno arriva senza alcuna correlazione ad uno sforzo, la questione si complica e dobbiamo distinguere due situazioni: se l’affanno  arriva all’improvviso o se  la difficoltà  di respirare ci accompagna stabilmente, diciamo cronicamente.

Quando l’affanno arriva all’improvviso

L’affanno che si presenta improvvisamente ciò che potrebbe indicare è un malfunzionamento di due organi: i polmoni o il cuore. Si tratta di due organi vitali e dunque vanno esaminati separatamente.

 

L’affanno che deriva dalle vie respiratorie

Le principali cause di un malfunzionamento dell’apparato respiratorio o specificamente dei polmoni sono 4:

  1. l’asma, cioè una malattia che riduce le vie respiratorie rendendo più difficoltosa l’aspirazione dell’aria da parte dei polmoni. In questi casi ci vuole un inalatore d’aria che forza la ventilazione.
  2. la polmonite, ovvero una malattia che provoca infezione ai polmoni   (o virale o climatica) e la si riconosce per la mancanza di respiro ma anche dalla tosse ed è resa evidente da una lastra ai polmoni;
  3. la broncopneumopatia ostruttiva, che è  una malattia che restringe le vie respiratorie rendendo difficoltoso l’arrivo dell’aria ai polmoni;
  4. l’ embolia polmonare, che è una rara situazione in cui avviene il blocco dei vasi sanguigni nei polmoni.

 

 

L’affanno che deriva da problemi al cuore

Ma c’è un “fiatone” anche più pericoloso, ed è quello che indica  i possibili seguenti problemi cardiaci:

  1. L’infarto: a volte anche senza i tipici dolori al torace o alla spalla sinistra, è proprio la mancanza improvvisa di respiro che preannuncia un possibile imminente attacco cardiaco che può anche arrivare all’ infarto;
  2. L’insufficienza cardiaca: indica una difficoltà del cuore a pompare sangue a sufficienza nel sistema circolatorio con al conseguenza che si accumula più acqua che ossigeno e la respirazione risulta compromessa;
  3. La fibrillazione atriale o tachicardia  che sono disturbi del battito cardiaco.

 

Gotta, la malattia che molti non sanno di avere

La gotta era una malattia comune nell’antichità: di gotta hanno sofferto i grandi della storia, da Giulio Cesare a Enrico VIII. Per lungo tempo è sembrata sconfitta, dimenticata. Ma negli ultimi anni sta registrando un progressivo e continuo aumento.

In Italia la stima è di circa un milione di persone che ne soffrono, ma il dato è probabilmente sottovalutato. Spesso, infatti, la gotta non viene riconosciuta. Secondo i numeri di Health Search, la banca dati della Società italiana di medicina generale (Simg), il numero di iperuricemici italiani è di circa di 5 milioni.

Le donne, bersaglio preferito
Anche se percepita come una patologia rara, la gotta è la più frequente malattia articolare dopo l’artrosi, con un’incidenza da non trascurare anche fra le donne.

Quali sono le categorie più colpite? La vittima più comune dell’attacco di gotta è l’uomo di mezza età, ma si registrano sempre di più casi fra le donne (oggi il rapporto donne/uomini è di 1 a 4, mentre solo pochi anni fa era di 1 a 7).

 

Ma vediamo nel dettaglio le categorie di persone più a rischio:

  • le donne dopo la menopausa, perché si perde l’effetto protettivo degli ormoni femminili nei confronti dell’iperuricemia ;
  • le giovani donne che abusano di diuretici per perdere peso;
  • chi utilizza l’acido acetilsalicilico a basso dosaggio che, contrastando l’eliminazione dell’acido urico con le urine, favorisce la comparsa di iperuricemia;
  • gli anziani che presentano danni articolari (per esempio dovuti all’artrosi), che a loro volta fanno sì che l’articolazione rappresenti un terreno più favorevole alla deposizione di acido urico;
  • gli obesi;
  • gli ipertesi;
  • coloro che hanno una cattiva funzionalità dei reni

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