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Acido Urico: da cosa più essere causato l'aumento

L’acido urico è il prodotto terminale del catabolismo dei nucleotidi purinici e cioè l’acido adenilico (AMP) e l’acido guanilico (GMP). I nucleotidi sono le unità fondamentali degli acidi nucleici (DNA e RNA) ma svolgono, anche in forma libera, un ruolo importante nel nostro metabolismo. L’acido urico è poco solubile in acqua e un aumento della sua concentrazione sanguigna può portare alla sua precipitazione nei tessuti articolari (tofi gottosi) o nelle vie urinarie (calcoli renali). L’aumento della concentrazione di acido urico nel sangue deriva da uno squilibrio tra la sua produzione e la sua eliminazione (2/3 con le urine ed 1/3 con la bile). Un aumento della produzione può essere dovuto ad una ipergenerazione endogena da aumentato catabolismo o ad una dieta particolarmente ricca di acidi nucleici (carne, specialmente fegato, reni), mentre una diminuzione della sua eliminazione è dovuta ad alterata funzionalità renale.

Un aumento dell’acido urico sierico può essere dovuto a gotta primaria, insufficienza renale, leucemia, mieloma multiplo, policitemia, psoriasi; un aumento dell’escrezione giornaliera di acido urico può essere dovuto a leucemia, malattia di Wilson, gotta.

Una diminuzione dell’acido urico sierico può essere dovuta a malattia di Wilson, epatite virale, diete povere di purine; una diminuzione dell’escrezione giornaliera di acido urico può essere dovuta a deficienza di acido folico, intossicazione da piombo, digiuno

INDICAZIONI CLINICHE

Sospetta gotta, monitoraggio del trattamento farmacologico dell’ipeuricemia, monitoraggio degli effetti catabolici della chemioterapia.

TIPO DI CAMPIONE

Il paziente si deve sottoporre ad un prelievo di sangue.

 

Se richiesto il paziente deve raccogliere le urine delle 24 ore.

Acetone: perché fare delle analisi per controllarlo

L’acetone è una molecola normalmente presente nel nostro organismo in piccole quantità. Un eccesso di produzione di acetone si ha in condizioni di severa carenza di zuccheri, quando l’organismo è costretto ad utilizzare quasi esclusivamente i grassi per soddisfare il metabolismo. L’acetone è volatile e può pertanto essere eliminato attraverso la respirazione, conferendo all’aria espirata un caratteristico odore di frutta  matura. Ecco spiegato il caratteristico alito dei bambini affetti dal cosiddetto “acetone” in seguito a febbre elevata (e quindi con metabolismo accelerato) aggravata da un’insufficiente alimentazione (quindi in carenza di carboidrati), e infatti l’  “acetone” dei bambini si corregge semplicemente dando loro acqua e zucchero.

 

Un eccesso di acetone (ketoacidosi) da carenza di glucosio si può avere anche nel diabete scompensato (laddove la carenza di insulina fa si che il glucosio non riesca ad entrare in quantità sufficiente nelle cellule) e nel digiuno (specie se carboidratico) protratto.

L’acetone è impiegato ampiamente, quale solvente, nelle lavorazioni industriali e, se assorbito in dosi elevate, può provocare cefalea, vertigini, sonnolenza, epigastralgie, vomito, rinofaringite e congiuntivite. In caso di intossicazione da isopropanolo, l’acetone, suo principale metabolita, aumenta.

 

TIPO DI CAMPIONE

Il paziente si deve sottoporre ad un prelievo di sangue/urine.

PREPARAZIONE

È necessario osservare un digiuno di almeno 8 ore, è ammessa l'assunzione di una modica quantità di acqua. L'analisi su urina necessita di un campione prima e dopo il turno.

 

Borsite: cause, sintomi

 

 

La borsite è l’infiammazione della borsa sierosa di un’articolazione, ossia della sacca ripiena di liquido che si trova sotto pelle e che ha la funzione di fare da cuscinetto tra i tendini e le ossa. Quando questa sacca si infiamma, provoca dolore associato spesso a gonfiore ed irritazione della zona interessata. La borsite generalmente colpisce le articolazioni maggiormente utilizzate, che si muovono in modo ripetitivo e continuo come quelle dei gomiti, delle spalle, delle ginocchia e delle anche. L’infiammazione può interessare anche altre parti del corpo, come le caviglie, il tallone o i piedi ma è molto più rara in queste zone. 

 

La borsite può avere cause di diversa origine e natura: in alcuni casi alla base dell’infiammazione vi è un trauma, in altri un’infezione e in altri ancora deriva da una patologia preesistente.

Infezione e borsite settica

 

Una delle cause scatenanti questa infiammazione è l’infezione delle borse che si trovano vicine alla pelle, conseguenza di una ferita che si è infettata. In questi casi si parla di borsite settica ma è bene specificare che in condizioni normali il nostro sistema immunitario dovrebbe essere in grado di prevenire l’infezione delle borse. I soggetti che presentano maggiori fattori di rischio legati alla borsite settica sono i seguenti:

  • Pazienti affetti da HIV;
  • Pazienti con problemi di alcolismo;
  • Pazienti affetti da diabete;
  • Pazienti affetti da specifiche patologie a carico dei reni;
  • Pazienti in cura con alcuni tipi di farmaci come i corticosteroidi e i chemioterapici.

Trauma e movimenti ripetitivi

Un’altra causa frequente di borsite è la ripetizione di alcuni movimenti che non fanno altro che creare dei microtraumi continui alla borsa sierosa di un’articolazione e quindi alla lunga determinano una sua infiammazione. In questo caso, i soggetti che presentano un maggior rischio sono i seguenti:

  • Persone che svolgono un lavoro che prevede movimenti ripetitivi del ginocchio, dell’anca, del gomito, ecc.
  • Persone che praticano sport che prevedono movimenti ripetitivi delle articolazioni più frequentemente interessate da borsite;
  • Persone che hanno subito un trauma improvviso ad un’articolazione.

Patologie che possono causare l’infiammazione

 

Come abbiamo detto, questa infiammazione delle borse sierose può essere provocata anche da alcune patologie specifiche, ossia:

  • Artrite reumatoide;
  • Gotta;
  • Lupus sistematico;
  • Sclerodermia;
  • Spondilite anchilosante;
  • Obesità o sovrappeso.

Osteofitosi: di cosa si tratta? Cause e sintomi

L’osteofitosi è una condizione clinica che interessa le ossa e le articolazioni e che identifica la presenza di osteiti appunto. Si tratta di piccoli speroni ed escrescenze che si vengono a formare lungo i margini articolari delle ossa e che in alcuni casi possono provocare una sintomatologia dolorosa e fastidiosa. Va precisato che l’osteofitosi diventa un problema proprio in questi casi, ma spesso risulta del tutto asintomatica e in queste circostanze non richiede nessun tipo di cura o intervento. L’osteofitosi quindi non è una patologia grave o particolarmente preoccupante: se non comporta sintomi non richiede nemmeno trattamenti specifici perchè non compromette la salute del paziente.

 

Quando però diventa dolorosa, questa condizione deve essere curata e bisogna ricordare che non va nemmeno sottovalutata perchè potrebbe essere la spia di altre patologie che richiedono invece una terapia specifica.

Gli osteofiti si vengono a formare per via di un accumulo di calcio sulla cartilagine delle articolazioni, che dipende spesso da un’erosione o irritazione delle ossa. Il tessuto osseo necessita di una maggior superficie di contatto con quello articolare e di conseguenza si iniziano a formare queste escrescenze. In sostanza quindi, l’osteoartosi è quasi sempre determinata dalla presenza di una patologia a carico delle ossa e delle articolazioni, che comporta un erosione o un’infiammazione spesso degenerativa. Per questo motivo non bisogna mai sottovalutare il problema: anche se asintomatica, l’osteofitosi rappresenta un campanello d’allarme perchè all’origine di questa condizione c’è quasi sempre una malattia.

Come abbiamo già accennato, l’osteofitosi non è una condizione che è facile identificare soprattutto perchè spesso e volentieri è del tutto asintomatica. Se non presenta alcun sintomo non c’è di che preoccuparsi perchè questa patologia non deve essere trattata. Le cure sono previste solamente per ridurre la sintomatologia, che in alcuni casi può diventare molto fastidiosa e debilitante.

Quando sono presenti, i sintomi tipici dell’osteofitosi sono i seguenti:

  • Dolore durante il movimento dell’articolazione (che nei casi più gravi può prolungarsi anche quando si è a riposo);
  • Limitazione dei movimenti dell’articolazione;
  • Dolore e debolezza muscolare.

Osteofitosi marginale e centrale

L’osteofitosi può essere marginale oppure centrale: la differenza tra queste due tipologie riguarda esclusivamente l’orientamento degli osteofiti, che possono essere rivolti verso l’interno oppure verso l’esterno. La condizione più fastidiosa è l’osteofitosi marginale: in questo caso gli osteofiti sono orientati verso l’esterno e rischiano maggiormente di creare problemi e sintomi dolorosi.

Osteofitosi: le articolazioni più colpite

L’osteofitosi può colpire diverse articolazioni ma tra le sedi più comunemente interessate da questa condizione troviamo il ginocchio, l’anca, il piede, la mano, il collo (osteofitosi cervicale) e la fascia lombare. Naturalmente, a seconda delle collocazione del problema potrebbero presentarsi dei sintomi differenti ma in tutti i casi localizzati in quell’area.

 

 

Proteina C Reattiva alta o bassa: tutte le cause e quando preoccuparsi

La proteina C reattiva è una proteina viene sintetizzata dal fegato e dagli adipociti, che viene misurata nel sangue per verificare lo stato di salute del paziente. Se infatti la proteina C reattiva dovesse risultare superiore alla norma, significa che c’è qualcosa che non va come dovrebbe e che l’organismo sta affrontando qualche problema. 

 

 

Le cause di valori al di fuori della norma possono essere diverse ma sono sempre asccrivibili ad una patologia in corso, che può essere una banale infiammazione ma anche una malattia più seria come ad esempio l’artritereumatoide o una neoplasia. Se quindi la proteina C risulta più alta del normale, conviene sempre effettuare altri accertamenti per capire quale sia il problema che ha scatenato questo sintomo clinico, che non deve mai essere sottovalutato. Al contrario, se la proteina C risulta bassa non c’è nulla di cui preoccuparsi perchè significa che l’organismo non sta affrontando alcun processo di natura infiammatoria. Sono quindi solamente i valori alti che devono preoccupare e che necessitano di ulteriori approfondimenti.

Come abbiamo già accennato, la proteina C reattiva è una proteina che viene prodotta dal fegato solamente quando l’organismo deve fare fronte ad uno stato infiammatorio acuto. La si può rilevare nel sangue e quindi è sufficiente un prelievo per capire quali sono i valori di tale proteina e quando c’è qualcosa che non funziona come dovrebbe.

La proteina C reattiva viene misurata per monitorare lo stato di salute del paziente e per controllare che non vi siano infiammazioni o patologie nella loro fase acuta in corso. Un innalzamento di questa proteina nel sangue può verificarsi anche in seguito ad un intervento chirurgico, ma spesso e volentieri avviene anche in presenza di patologie importanti come il lupus  e l’artrite reumatoide. Per questo motivo è sempre importante non sottovalutare un aumento dei valori nel sangue, perchè potrebbero essere significativi e aiutare a diagnosticare una malattia anche seria.

 

Emoglobina bassa: le cause. Prenota subito un prelievo da Noi

L’ emoglobina bassa consiste in una quantità estremamente ridotta del pigmento dei globuli rossi, la cui funzione è quella di trasportare l’ossigeno agli organi e ai tessuti.

La sua diminuzione notevole può essere causata da patologie, deficit alimentari, problemi genetici e altro. Le eventuali terapie si legano all’entità della carenza, e alle ragioni che l’hanno determinata, e possono variare da semplici integratori alimentari, fino alle trasfusioni di sangue.

Un valore troppo basso di emoglobina causa un deficit di ossigeno all’interno dell’organismo, dovuto al fatto che questa proteina è ricca di ferro, il cui ruolo è quello di legarsi all’ossigeno e trasportarlo ai tessuti e agli organi. Poca emoglobina significa quindi un minore apporto di ossigeno, con conseguenti ripercussioni sulle funzioni degli organi.

La scarsa emoglobina nel sangue causa i sintomi tipici di una carenza di ossigeno da parte dei tessuti: stanchezza, debolezza, tachicardia, mal di testa, vertigini, senso di freddo, colorito particolarmente pallido. Un eccessivo abbassamento dell’emoglobina può portare a conseguenze anche gravi, tra cui un’insufficienza cardiaca dovuta alla mancata ossigenazione del cuore, che può provocare un infarto.

 

Balanite: cause, sintomi, come riconoscerla

La balanite è l’infiammazione del glande ossia della parte terminale del pene. Parliamo quindi di una patologia che può colpire solamente gli uomini e che in molti casi provoca un forte dolore e fastidio. La balanite può essere caratterizzata da sintomi differenti, anche perchè diverse possono essere le cause alla sua origine. Sebbene non sia stato ancora dimostrato che questa malattia rientri in quelle sessualmente trasmissibili, è bene ricordare che alcune forme di balanite potrebbero originare da patologie come la candida. Quest’ultima si può trasmettere con un rapporto sessuale non protetto ed è quindi sempre importante prestare attenzione perchè il contagio non è da escludere a priori.

Si parla di balanite quando il glande si presenta infiammato. Si tratta quindi di una condizione che può presentare molte casistiche differenti e conviene fare un po’ di chiarezza, cercando di capire quali sono le possibili cause di questo disturbo. In questo senso, i sintomi specifici possono essere molto utili ed imparare a distinguerli è quindi importante.

La balanite è piuttosto semplice da riconoscere, perchè con questo termine s’intende l’infiammazione del glande ossia della parte terminale del pene. Esistono diverse tipologie di balanite, quindi i sintomi non si presentano sempre tutti ma possono anzi tornare utili per identificare l’origine del problema.

 

In caso di balanite, sono sempre presenti i seguenti sintomi caratteristici:

  • Dolore intimo, specialmente nella zone terminale del pene e durante i rapporti sessuali;
  • Gonfiore a livello del glande;
  • Glande arrossato.

A seconda del tipo di infezione (batterica, virale, da parassiti, da funghi e via dicendo), possono presentarsi altri sintomi specifici ossia:

  • Prurito nella zona del glande o del prepuzio;
  • Perdite bianche o giallastre, che possono assumere l’aspetto di ricotta;
  • Problemi nella minzione, con bruciore o fastidio;
  • Sanguinamento urinario;
  • Ulcere sul pene;
  • Linfonodi dell’inguine gonfi.

 

Imparare a riconoscere questi sintomi può essere molto utile perchè aiuta a capire quale potrebbe essere la tipologia di balanite e quindi intraprendere la cura più efficace.

Come abbiamo appena accennato, non esiste una sola tipologia di balanite. L’infiammazione del glande può dipendere da fattori anche molto diversi tra loro: un’infezione batterica, una patologia autoimmune, un’infezione da funghi o da parassiti, una malattia venerea, un’allergia da contatto e via dicendo.

Cellule epiteliali nelle urine: cause, valori e quando preoccuparsi

Se le cellule epiteliali nelle urine presentano un valore superiore al normale, le cause potrebbero essere di natura anche molto diversa. In alcuni casi si tratta di una banale infezione alle vie urinarie ma in altre circostanze all’origine potrebbe esserci una patologia anche molto seria come una neoplasia. Occorre quindi effettuare tutti gli esami diagnostici del caso, in modo da escludere eventuali problemi gravi e intraprendere una terapia efficace. Va precisato però che le cellule epiteliali nelle urine ci sono sempre, in qualsiasi soggetto sano: è solo quando i valori risultano superiori alla norma che ha senso preoccuparsi.

Cellule epiteliali: cosa sono?

Innanzitutto cerchiamo di capire cosa siano le cellule epiteliali e perchè si trovano anche nelle urine, risultando del tutto normali entro un certo range. Le cellule epiteliali non sono altro che quelle cellule che formano il tessuto epiteliale ossia il derma. Si possono trovare sia negli strati più profondi che superficiali ed è del tutto normale che anche nelle urine se ne trovi traccia. Quelle che sono presenti normalmente nelle urine, per la precisione, sono le cellule epiteliali squamose (o transizionali), che provengono dall’uretra, dalla vagina o dai genitali esterni. Hanno dimensioni piuttosto grandi e sono ricche di citoplasma.

Queste cellule sono presenti normalmente nelle urine per via del ricambio cellulare, che è del tutto fisiologico. Una volta che le nuove cellule si sono formate, quelle vecchie vengono eliminate dal nostro organismo attraverso l’urina ed è quindi assolutamente normale che vengano rilevate dalle analisi di laboratorio. Le cellule epiteliali nelle urine quindi, entro determinati valori, si riscontrano normalmente in qualsiasi persona sana (sia un adulto, un bambino o un neonato).

Azotemia Alta: un sintomo da non sottovalutare

Se le analisi del sangue evidenziano una condizione di azotemia alta, significa che le quantità di azoto non proteico presenti nel nostro organismo sono eccessive e che qualcosa non funziona come dovrebbe. Nella maggior parte dei casi, l’azotemia alta dipende da cause di natura patologica che riguardano le funzionalità dei reni. Questi organi infatti hanno l’importante funzione di filtrare ed eliminare tutte quelle sostanze che risultano inutili per il nostro organismo. Tra queste troviamo anche l’urea, un prodotto di scarto che viene eliminato attraverso le urine dopo essere stato filtrato dai reni. Se l’azotemia risulta elevata nel sangue, significa che questi organi non sono stati in grado di svolgere il loro lavoro e che quindi potrebbero essere affetti da qualche patologia.

 

 

L’azotemia alta però non dipende sempre e solo da malattie a carico dei reni. Le cause che possono essere alla base di questa condizione sono diverse e tra queste troviamo anche fattori meno preoccupanti, che possiamo definire ambientali o fisiologici addirittura. La dieta per esempio svolge un ruolo cruciale per quanto riguarda i livelli di azotemia nel sangue, perchè se eccessivamente ricca di proteine potrebbe proprio essere all’origine di questa condizione. In tutti i casi, se le analisi del sangue evidenziano un’iperazotemia conviene sempre appurarne le cause in modo da poter ripristinare i valori corretti.

Candida vaginale: cause e sintomi

La candida vaginale è una particolare forma di micosi, un’infezione causata da un fungo che colpisce l’apparato genitale femminile e maschile. Si tratta di un disturbo diffusissimo tra le donne, tanto che ne colpisce ben il 75% almeno una volta nella vita. 

Fortunatamente, la candida vaginale è solamente fastidiosa ma può essere curata in modo piuttosto semplice e senza ripercussioni di alcun tipo. Il problema di questa patologia è che, una volta che colpisce una paziente, ha un elevatissimo tasso di probabilità di ricomparire: per questo si parla di recidive da candida. 

 

Cos’è la candida vaginale?

 

La candida vaginale più diffusa è provocata da un fungo che vive normalmente nella vagina e non crea alcun tipo di problema. Quando però l’equilibrio batterico e la flora micotica della vagina subiscono delle alterazioni di qualche tipo, questo fungo sviluppa delle infezioni e si manifesta appunto con i sintomi tipici della candida. Le recidive sono dovute essenzialmente a questo: una volta che l’equilibrio è stato alterato, è molto più suscettibile alle successive variazioni e quindi le probabilità di contrarre nuovamente questa infezione aumentano. La candida vaginale può essere trasmessa al partner durante un rapporto non protetto ma non è detto che questi manifesti i sintomi: negli uomini la candida può essere del tutto asintomatica.

Mononucleosi: Cos'è, come si manifesta e come si cura la malattia del bacio

Mononucleosi: Cos'è, come si manifesta e come si cura la malattia del bacio

L'infezione data dal virus di Epstein-Barr (mononucleosi) può essere contratta anche con modalità indirette tramite, per esempio, l'utilizzo comune di oggetti contaminati, quali posate, bicchieri, piatti e giocattoli, nonché con le goccioline diffuse in seguito a colpi di tosse o starnuti.

Fortunatamente, se si è già stati infettati una volta, ogni successivo contatto con una persona affetta da mononucleosi sarà privo di conseguenze.

La mononucleosi è una malattia a contagiosità modesta, che interessa soprattutto soggetti di età compresa fra i 15 ed i 35 anni.

Viene chiamata mononucleosi per la presenza del virus di Epstein-Barr nell’organismo, che stimola la produzione dei globuli bianchi, nello specifico delle cellule mononucleate (con un solo nucleo) o monociti nel sangue, solitamente presenti in numero ridotto.

Il  virus di Epstein-Barr (EBV), appartiene alla famiglia degli herpes virus, ovvero ai virus patogeni responsabili di varicella, herpes labiale o genitale e fuoco di Sant'Antonio. Il virus EBV rimane per sempre latente nel corpo umano e può ricomparire periodicamente.

I sintomi della mononucleosi

Florence Nightingale

I sintomi prevalenti della malattia sono:

  • astenia: debolezza e senso di spossatezza
  • febbre: fino a 39- 40° C, con sudorazione durante la notte
  • ingrossamento dei linfonodi: specialmente quelli del collo, sotto le ascelle e nel basso ventre; si ingrossano e risultano dolenti
  • faringite: tende ad intensificarsi nel giro di una settimana.

Le manifestazioni cliniche della mononucleosi tendono a scomparire completamente nell’arco di qualche settimana.

Si può dunque, dopo poco tempo, riprendere le normali attività quotidiane.

L’unico sintomo che potrebbe persistere anche per diversi mesi, è la sensazione di stanchezza generalizzata, mentre la complicanza più temibile - e più temuta - è la rottura della milza ingrossata.

Mononucleosi: Periodo di incubazione ed epidemiologia

Il periodo di incubazione dell'infezione è piuttosto lungo e variabile dai 30 ai 50 giorni in adulti e adolescenti.

Questo tempo che precede la presentazione dei sintomi è solitamente inferiore nei bambini, pari a circa 10-15 giorni (che sviluppano la mononucleosi in forma quasi priva di sintomi).

Diffusa soprattutto nei paesi industrializzati, la mononucleosi interessa entro l'adolescenza il 50% degli individui, mentre compare più precocemente in quelli in via di sviluppo.

Considerato il tasso di contagiosità, la mononucleosi può causare piccole epidemie soltanto in particolari condizioni (stretto contatto con soggetti affetti, sovraffollamento e cattive condizioni igieniche).


Recenti studi affermano che nel corso della propria vita circa il 90% della popolazione mondiale adulta, senza particolare predilezione di sesso, entra in contatto con il virus di Epstein-Barr. Gran parte di queste persone ha sviluppato anticorpi specifici, senza aver mai accusato alcun segno di infezione.

La diagnosi di mononucleosi

A livello clinico questa infezione presenta una sintomatologia abbastanza tipica, ma tuttavia potrebbe essere confusa con altre malattie infettive, che presentano sintomi analoghi (come l’epatite virale, la rosolia, la malattia da citomegalovirus).

Pertanto, una diagnosi certa si raggiunge soltanto mediante la constatazione della presenza di linfociti caratteristici nel sangue (linfocitosi) associata a test anticorpali e riscontri sierologici (presenza di anticorpi eterofili circolanti e/o anticorpi diretti contro proteine specifiche di EBV).


Per confermare il sospetto di malattia che deriva dall’aumento dei globuli bianchi, sono quindi indicati esami e immunologici specifici, tra cui: emocromocitometrico,  ricerca degli anticorpi anti-EBV VCA, ricerca degli anticorpi anti-EBV EA.

Quali esami del sangue eseguire in menopausa? Prenotali con una telefonata

Menopausa

Nella donna la menopausa è l'evento fisiologico che corrisponde al termine del ciclo mestruale e dell'età fertile. Clinicamente la menopusa fa parte di un periodo più lungo, chiamato climaterio , che inizia alcuni anni prima della fine del ciclo mestruale (variabile da donna a donna), è caratterizzato da cambiamenti dell'attività delle ovaie (quindi le prime irregolarità mestruali) e si conclude alcuni anni dopo la menopausa in cui termina l'attività ovarica: infatti le ovaie non producono più follicoli ed estrogeni (ormoni femminili principali).

 

Questo stato provoca una serie di mutamenti nella donna che riguardano gli aspetti trofici, metabolici, sessuali e anche psicologici. La scomparsa delle mestruazioni è soltanto uno dei segni più evidenti della menopausa: infatti il progressivo esaurirsi della produzione di ormoni femminili altera l’equilibrio che ha accompagnato la donna per tutta l'età fertile, provocando disturbi e malesseri vari. L'età media della menopausa è compresa tra i 45 e i 55 anni: per la donna europea la media è di circa 50 anni.

 

Quali esami effettuare?


Il laboratorio di analisi Studio Ortokinesis, è un laboratorio di analisi con sede a Trepuzzi

Il laboratorio di analisi Studio Ortokinesis,  è un centro di laboratorio di analisi con sede a Trepuzzi,  dove si possono effettuare check up (di base o completo) attraverso diversi tipi di analisi cliniche.

 

è importante sottoporsi a controlli periodici di routine ed esami clinici specifici, per indagare sullo stato di salute del paziente e individuare l’eventuale insorgere di una malattia in fase ancora preclinica.

Lo scopo dei check-up è proprio quello di dare una visione più ampia sullo stato di salute del paziente e diagnosticare o prevenire l’insorgere di patologie più gravi. Essi comprendono sia test generici che specifici legati al sesso, all’età del paziente e al suo stile di vita.

 

Presso il nostro centro analisi  si effettuano prelievi del sangue, utili a capire lo stato di salute di alcuni organi come fegato, rene e cuore.  Questi sono controlli non specialistici che, se ripetuti periodicamente, consentono la prevenzione di alcune malattie.

Con l’esame del sangue si possono conoscere, attraverso il controllo di diverse sostanze, quali sono i valori della glicemia, del colesterolo, dei trigliceridi, dell’azotemia, delle transaminasi, dell’emocromo e della creatinina.

Scoprire ad esempio qual è la quantità di glucosio presente nel nostro corpo, in modo da individuare subito il rischio di ammalarsi di diabete. L’esame del sangue serve anche a individuare il colesterolo in eccesso, la cui presenza può aumentare il rischio di infarto. Per gli anziani utile, poi, controllare la transaminasi, che consente di tenere sotto controllo il fegato, o effettuare gli esami FT3, FT4 e TSH per le disfunzioni della tiroide.

Le analisi delle urine, infine, aiutano a diagnosticare il mal funzionamento dei reni.

In base alle proprie esigenze cliniche il paziente può scegliere tra diversi pacchetti che il nostro laboratorio di analisi cliniche vi propone:

  • Pacchetto cardiovascolare
  • Pacchetto funzionalità renale
  • Pacchetto funzionalità epatica
  • Pacchetto osteoporosi
  • Pacchetto prevenzione diabete
  • Controllo della tiroide di base e completo

Tutti i test e le analisi saranno svolti da personale altamente qualificato. Il nostro staff vi indirizzerà verso il profilo di check up più adatto alla vostra persona.

Il centro è aperto dal lunedì al sabato  dalle ore 7.30 alle 12,30 e dalle 17.00 alle 18.00  I prelievi saranno effettuati dalle 7.00 alle 9.30

Ortopedia: per braccia e gambe in salute. Prenota adesso0832 347731

Quella che oggi chiamiamo ortopedia era in origine la pratica di correzione del fisico e della postura nei bambini. Il termine deriva infatti da orthòs, che in greco significa “dritto”, e pàis, “bambino”. I primi interventi mirati a risolvere e curare specifiche patologie si tennero solo nel XIX secolo, in Francia e Gran Bretagna. Oggi l’ortopedia si caratterizza per la sua triplice funzione educativaterapica e chirurgica.

Lo scopo della visita ortopedica è verificare l’esistenza di eventuali alterazioni o disfunzioni dell’apparato locomotore (o muscolo-scheletrico). Le zone interessate sono la colonna vertebrale, gli arti inferiori (anca, ginocchio, piede e caviglia) e quelli superiori (spalla, gomito, mano e polso). I traumi – di natura congenita o acquisita – includono l’artrosi, l’ernia del disco, l’osteoporosi, la lussazione dell’anca, la scoliosi, la sindrome del tunnel carpale, i problemi al menisco, la fascite plantare e il valgismo.

Prima della visita vera e propria, lo specialista svolge l’anamnesi, ossia la raccolta di informazioni circa lo stato di salute del paziente dalla nascita al presente; si terranno in considerazione anche le sue abitudini di vita e il lavoro. Dopo questa fase, il medico ortopedico procede all’osservazione e alla palpazione delle zone interessate, compiendo test di vario tipo per valutare i riflessi, la forza muscolare, la postura e l’ampiezza dei movimenti. Prima della diagnosi finale – che può consistere in una terapia a lungo termine o in un intervento – potrebbe rivelarsi necessario un esame radiologico di approfondimento.

28 settembre: Giornata mondiale del cuore

La Giornata Mondiale per il Cuore (World Heart Day) è celebrata il 29 Settembre di ogni anno. È una campagna mondiale di informazione e sensibilizzazione sulla prevenzione delle malattie cardio-cerebro vascolari, promossa in tutto il mondo dalla World Heart Federation attraverso una comunità di oltre 200 organizzazioni nazionali che, insieme, sostengono l’impegno della società medica e delle fondazioni per il cuore in oltre 100 paesi.
 
In Italia la Giornata Mondiale per il Cuore è coordinata dall’Associazione Fondazione Italiana per il Cuore membro nazionale della World Heart Federation, con l’obiettivo di informare e sensibilizzare le persone, le famiglie, le comunità e il mondo politico invitando tutti a promuovere iniziative e attività per adottare corretti stili di vita per ridurre i fattori di rischio cardiovascolare che sono la causa principale di queste patologie.
 
Le malattie cardio-cerebro vascolari sono tutt’oggi in assoluto la prima causa di morte nel nostro come in moltissimi paesi del mondo. Ogni anno sono responsabili di ben 17.5 milioni di morti premature e si prevede che nel 2030 aumenteranno a 23 milioni. In Italia ben 127.000 donne e 98.000 uomini muoiono ogni anno per le malattie cardio-cerebrovascolari e molte di queste morti si verificano in modo prematuro prima dei 60 anni di età.
 
Il fumo di sigaretta, elevati livelli di colesterolo, ipertensione, elevati livelli di zuccheri nel sangue, alimentazione scorretta, peso e circonferenza addominale, sedentarietà, stress e condizioni di vita in ambienti non salutari sono i fattori di rischio modificabili responsabili per almeno l’80% delle morti premature causate dalle malattie cardio-cerebro vascolari, tra cui infarto, scompenso e ictus, che possono essere evitate.

Come prepararsi al meglio ad affrontare i malanni che autunno e inverno portano con sé

Il mese di settembre segna il passaggio dalla stagione estiva, tendenzialmente la migliore dal punto di vista dei malanni e della qualità dello stato di salute, a quella autunnale, in cui normalmente si manifestano solo piccoli disturbi di inizio stagione, ma anche periodo ideale per prepararsi alla stagione fredda.

Ancora una volta è opportuno ricordare che nulla è strettamente necessario quando si parla di strategie preventive, ma spesso alcune scelte risultano utili e preziose.

 

 

Nella grande maggioranza dei casi le patologie stagionali invernali non sono a decorso problematico. A meno di condizioni fisiche particolarmente compromesse o di compresenza di stati di malattia – in particolare a carico dell’apparato respiratorio ma anche cardiocircolatorio - generalmente le patologie invernali si superano senza conseguenze durature né strascichi: è evidente che tanto maggiori sono i rischi di complicanze, tanto più utile e preziosa diviene la scelta di attuare strategie preventive.

Quando si parla di prevenire le malattie invernali, si pensa subito all’influenza e alla relativa vaccinazione: in realtà si tratta solo di una delle misure preventive, dato che riguarda esclusivamente l’influenza, di fatto circoscritta solitamente ad un episodio, solitamente nella seconda metà dell’inverno.

Prima del picco influenzale e durante tutto l’arco dell’inverno si può incorrere in altre patologie di origine virale o batterica, infettive quindi e fortemente diffuse nella popolazione, che coinvolgono le vie aeree sia alte che basse: tonsilliti, bronchiti, bronchioliti - molto diffuse e molto debilitanti nei bambini piccoli e piccolissimi – polmoniti, senza tralasciare gli stati di raffreddamento, più fastidiosi che debilitanti.

Tutte queste patologie, spesso ricorrenti soprattutto nei bambini e negli anziani, costituiscono quel vasto panorama di malattie parainfluenzali che possono rendere l’inverno faticoso da superare.

Immunostimolazione contro i malanni invernali

Per quanto riguarda invece le altre malattie stagionali, può essere molto utile ricorrere a strategie preventive di immunostimolazione, che può essere specifica oppure genericamente aspecifica.

• Immunostimolazione specifica: si tratta di preparati a base di lisati batterici, ovvero di derivati dei ceppi patogeni opportunamente trattati in modo di privarli della capacità di indurre uno stato di malattia, conservando le parti responsabili della produzione di anticorpi da parte dell’organismo da proteggere; l’uso di questi preparati richiede cicli ripetuti, il primo dei quali è da iniziare per l’appunto nel mese di settembre, ed è indicato per tutte le persone che durante l’inverno ricadono frequentemente in malattie batteriche delle vie aeree con conseguente ripetuto ricorso a terapie antibiotiche.

• Immunostimolazione aspecifica: si tratta in questo caso di integratori a base di vitamina C, magnesio, zinco e di sostanze fitoterapiche – come Echinacea e Uncaria - che hanno lo scopo di innalzare le difese dell’organismo, cioè la capacità da parte di un individuo di difendersi da tutti gli agenti patogeni indistintamente. Le diverse strategie non si escludono vicendevolmente: il medico di base o il farmacista possono essere un valido supporto per ottenere gli opportuni consigli.

COME FRONTEGGIARE LA SINDROME DA RIENTRO?

Ansia, insonnia, nervosismo, spossatezza eccessiva, leggera depressione: sono questi i sintomi con cui si presenta la sindrome da rientro. Chi ne soffre, si sente incapace di concentrarsi, appesantiti, schiacciati dal senso di responsabilità e dai compiti incombenti. Un senso diffuso di malessere è spesso accompagnato da irritabilità e sbalzi d’umore repentini. Ma esistono delle strategie per fronteggiare la sindrome da rientro. Eccole. 

 

 

• Dormire molto e bene, evitando di passare dalle 8-10 ore di sonno del periodo vacanziero alle 6-7 che ci si concede al rientro.  

 

• Rientrare dalle vacanze alcuni giorni prima per smorzare l’impatto con la vita cittadina. Se possibile, anche il lavoro andrebbe ripreso gradualmente.  

 

• Fare attività fisica aiuta a diminuire lo stress e a riposare meglio. 

 

• Seguire un’alimentazione corretta. Il cervello ha bisogno soprattutto di zucchero, perciò ben vengano, nelle giuste quantità, pasta, pane e frutta.  

 

• Il passaggio dalla luce del sole in spiaggia a quella artificiale dell’ufficio può mettere sotto stress il corpo e la mente. Un consiglio: fare la pausa pranzo all’aria aperta. 

 

• Prendersi delle pause frequenti: bastano quindici minuti ogni due ore per far riposare gli occhi e spezzare l’intensità del rientro. 

 

• Niente tecnologia a letto perché il cervello potrebbe smettere di associare quella stanza al momento del sonno. 

Dermatite da stress o eczema da contatto, di cosa si tratta?

Dermatite è un termine generico che indica una condizione morbosa della pelle che si caratterizza per la presenza di un processo infiammatorio; i suoi principali sintomi sono prurito, secchezza, gonfiore, arrossamento ed eruzioni cutanee. Talora poi possono anche manifestarsi desquamazione, piccole lesioni, bolle e crosticine. Essa in effetti, può essere considerata una reazione della cute sia ad agenti esterni (si pensi, ad esempio, agli allergeni) che a fattori interni (infezioni, carenze o eccessi alimentari, reazioni allergiche, contatto con prodotti irritanti ecc.).

 

Questa patologia, lo ricordiamo, può colpire diverse aree del corpo, ma le zone più a rischio sono il viso, le mani e il cuoio capelluto. Essa, inoltre, può essere acuta, se si manifesta in maniera occasionale, oppure cronica, quando la sua sintomatologia si presenta ripetutamente.

Alla base di questo processo infiammatorio possono esserci diverse cause, ciascuna delle quali determina una particolare forma di dermatite con specifiche caratteristiche. Si pensi, ad esempioa quella atopica, denominata anche eczema, alla dermatite seborroica, alla periorale, alla dermatite allergica o a quella da stress: a seconda del tipo di infiammazione sarà necessario ricorrere a uno specifico trattamento.

Al fine di contrastare la sintomatologia della dermatite atopica e di quella seborroica il paziente deve sottoporsi a un trattamento cortisonico topico o, nei casi più gravi, deve assumere farmaci cortisonici per via orale per un arco di tempo limitato. Inoltre è opportuno evitare tutti i possibili prodotti allergizzanti, sia di tipo alimentare che ambientale. Il ricorso agli antistaminici poi contribuisce a ridurre la sensazione di prurito e il conseguente grattamento, soprattutto se si tratta di una dermatite pruriginosa. Nel caso in cui il processo infiammatorio sia stato determinato da una infezione batterica, il medico prescriverà degli appositi farmaci antibiotici; in tal caso è raccomandabile la contestuale assunzione di probiotici, di cibi ricchi di omega 3 e omega 6 e di vitamina E, allo scopo di evitare il riacutizzarsi del processo morboso.

Una delle forme  più diffusa è il cosiddetto eczema da contatto, noto anche come dermatite allergica o irritativa da contatto. Essa colpisce per lo più le mani, il viso e il cuoio capelluto, in quanto queste zone possono venire più facilmente in contatto con sostanze allergizzanti.  Questo tipo di infiammazione ha luogo quando si viene in contatto con saponi, trucchi o tinture per capelli che contengono sostanze irritanti.

Con questo termine  si intende una infiammazione della cute determinata da un elevato livello di tensione e di ansia: si ipotizza, infatti, che gli ormoni dello stress siano in grado di stimolare la risposta immunitaria all’irritazione. Generalmente questo tipo di dermatite ha luogo in corrispondenza di periodi di eccessivo sovraffaticamento, sia mentale che fisico.

Psoriasi: sintomi e rimedi di questa malattia della pelle

La psoriasi è una malattia della pelle, ovvero una dermatite che si sviluppa sotto forma di lesioni ed arrossamenti piuttosto persistenti in diverse parti del corpo. La pelle risulta molto più spessa del normale, arrossata e squamosa; l’istinto principale nella persona colpita da psoriasi è quello di grattarsi, in quanto la dermatite causa molto prurito. Può presentarsi a qualsiasi età, sotto diverse forme.

Non tutti i punti del corpo sono colpiti allo stesso modo dalla psoriasi; pur potendosi presentare in qualsiasi zona, quelle maggiormente a rischio sono:

  • I gomiti;
  • Le ginocchia;
  • Il viso;
  • Le mani e i piedi;
  • Il cuoio capelluto;
  • La parte lombare della schiena.

sintomi della psoriasi variano da persona a persona. Sono molto soggettivi: in alcune persone la malattia si manifesta semplicemente attraverso un’irritazione, in altre può presentarsi con molta insistenza, tanto da condizionare al 100% le proprie abitudini quotidiane. Gli effetti sono molto simili a quelli di altre malattie della pelle, quindi non sempre è così semplice diagnosticare la psoriasi distinguendola dalle altre dermatiti.

Nella maggior parte dei casi la psoriasi si manifesta attraverso delle placche che si formano sulla pelle. Questa, arrossata, si ricopre di squame grigiastre che provocano bruciore e prurito.

Quando le lesioni sono particolarmente profonde, la cute può rompersi portando all’apertura di vere e proprie ferite; in questo caso la dermatite diventa un problema in grado di influenzare la vita di tutti i giorni. Tuttavia, le lesioni non causano cicatrici permanenti.

La psoriasi quindi può essere definita una malattia cronica ed infiammatoria molto fastidiosa non solo a livello fisico, ma anche a livello psicologico. Chi è colpito da questa dermatite spesso tende a isolarsi o, perlomeno, a coprirsi il più possibile, compromettendo i rapporti con le persone intorno.

Le cause della psoriasi possono essere diverse. Sicuramente esiste una tipologia di psoriasi legata alla genetica; quindi una persona che presenta familiarità con questo tipo di malattia sarà più facilmente soggetta, in particolari periodi della vita, alla psoriasi. Stiamo parlando tuttavia della tipologia più difficile da trattare, che spesso si presenta in età adolescenziale.

In altri casi la psoriasi può essere legata a fattori esterni o, ancora, a una particolare situazione personale di colui che ne è affetto. Oltre allo stress, possono influire anche i problemi intestinali, l’abuso di alcool, alcune infezioni o la reazione a particolari farmaci assunti. Anche cambiamenti ormonali, ustioni solari e traumi di diversa origine possono scatenare la psoriasi; in tutti questi casi i primi sintomi si possono presentare anche in età adulta.

Bisogna sottolineare il fatto che per ora non esiste una cura definitiva contro la psoriasi; si possono tuttavia utilizzare delle creme, assumere dei farmaci e seguire la fototerapia per alleviare i sintomi.

D’altro canto bisogna anche specificare che questa malattia non è infettiva, quindi il contatto con una persona che ne è affetta non pregiudica la salute dell’altra persona; questa dermatite non dev’essere quindi vista come un problema per il quale tenere le distanze dalla persona colpita.

Ad ogni modo, i rimedi possono essere messi in atto solamente se si individua con certezza la causa alla base della malattia. Se il periodo è particolarmente stressante, ad esempio, bisogna imparare a riorganizzare la propria situazione psicologica; se la causa è invece legata a disfunzioni intestinali, bisogna porre più attenzione alla propria alimentazione, dando la precedenza a frutta, verdura e cereali.

Ci si può dedicare inoltre a qualche ora di relax attraverso specifici trattamenti termali, il cui obiettivo è quello di lenire e ammorbidire le lesioni della pelle, oltre a donare sollievo psicologico.

Puntura di Medusa? Cosa Fare!

La cattiva notizia è che, anche quest’estate, le meduse sono presenti in abbondanza nei nostri mari. Quella buona che, se non si è riusciti a evitarle, è possibile neutralizzare il loro potere urticante. A patto di seguire i consigli giusti e di non incappare in comuni errori. 

 

Cinque cose da fare

1. Se stai nuotando al largo e vieni sfiorato da una medusa, niente movimenti scomposti; devi respirare bene e cercare di raggiungere con calma la riva. Chiedi aiuto a qualcuno, se è necessario. Se invece sei già a riva, esci subito dall’acqua. Evita di gridare e (per quanto possibile) di agitarti.

 

 

 

 

2. Ciò che ti serve ce l’hai a portata di mano: lava la parte colpita con acqua di mare, in modo da diluire la tossina non ancora penetrata. Evita l’acqua dolce perché potrebbe favorire la rottura delle nematocisti (strutture urticanti che le meduse usano per difendersi) rimaste sulla pelle.

3. Con pazienza, cerca di pulire la pelle dai filamenti residui. Per rimuoverli, usa una tessera di plastica rigida, come bancomat o carta di credito, oppure un coltello usato di piatto (non dalla parte della lama).

4. Applica un gel astringente al cloruro d’alluminio, meglio se a una concentrazione del 5%. Serve a lenire il prurito e a bloccare la diffusione delle tossine. Lo trovi in farmacia.

5. Vai al pronto soccorso o chiama il 118 se ti accorgi che subentrano delle complicazioni, come reazione cutanea diffusa, difficoltà respiratorie, sudorazione, pallore, mal di testa, nausea, vomito, vertigini, confusione. In alcune persone particolarmente sensibili, la puntura di una medusa, ma anche di un’ape o di una vespa, può innescare una reazione allergica estrema al veleno, lo choc anafilattico.In questi casi la tempestività di intervento è fondamentale».

 

Cinque cose da non fare

1. Non strofinare la zona colpita con sabbia o con una pietra tiepida. In effetti le tossine sono termolabili, vengono cioè inattivate dal calore, ma perché ciò avvenga bisognerebbe raggiungere una temperatura di circa 50 gradi, meglio, quindi, non rischiare un’ustione.

2. Lascia perdere i rimedi della nonna, come ammoniaca, urina, aceto, alcol. Questi metodi non solo sono inutili, ma possono risultare anche dannosi. Ammoniaca e urina potrebbero ulteriormente infiammare la parte colpita».

3. Non grattarti, anche se è la prima reazione istintiva; se lo fai rompi le eventuali nematocisti residue, liberando ulteriore veleno.

4. Se la reazione è localizzata, fai a meno delle creme al cortisone o contenenti antistaminico: sono inutili perché entrano in azione solo dopo circa 30 minuti dall’applicazione e cioè quando la reazione è già naturalmente esaurita. Questi principi attivi possono invece andare bene per via orale, nel caso di lesioni diffuse o di disturbi generali, anche lievi.

5. Niente sole per qualche giorno sulla parte colpita. Nella fase di guarigione l’arrossamento lascia il posto a un’iperpigmentazione, che i raggi ultravioletti potrebbero rendere duratura. Per evitare antiestetiche macchie scure, usa una crema a filtro totale (50+).

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